Nei Balcani, la tradizione di tenere buoni rapporti tra vicini (il komšiluk) è sintomatico di una vita tranquilla e senza grossi problemi, per lo meno dal punto di vista economico. La stessa cosa succede tra gli stati della regione. Tuttavia, il collasso della Jugoslavia ha sviluppato animosità bilaterali, soprattutto come conseguenza di questioni territoriali irrisolte a seguito del conflitto degli anni novanta.
Il caso più emblematico oggi è quello della Croazia. Nonostante la Croazia sia l’ultima new entry nell’Unione Europea, il che dovrebbe fungere da garante di stabilità specie nelle dispute bilaterali, durante l’estate scorsa si sono incrinati i rapporti con tutti i vicini. Ognuno di questi per un motivo particolare.
Slovenia e Ungheria
Per quanto negli ultimi venticinque anni il destino di Lubiana e Zagabria sia stato accomunato in primis dal desiderio di autodeterminazione esterna e, in ultima sintesi, dal percorso di integrazione europea, i rapporti diplomatici tra i due paesi si sono arenati sulla questione del confine marittimo nel golfo di Pirano (ne avevamo scritto qui). A fine giugno 2017, l’arbitrato internazionale aveva finalmente riconosciuto alla Slovenia la sovranità sui tre quarti della baia. La reazione della Croazia, per voce della presidente, Kolinda Grabar-Kitarović, non si era fatta attendere: in sostanza, la Croazia non rispetterà l’arbitrato e invita la Slovenia a nuovi negoziati.
Per questo motivo, a inizio settembre, la Slovenia ha deciso di porre il veto sull’ingresso della Croazia nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). A farle compagnia, qualche giorno dopo, si è aggiunta l’Ungheria, ma per un altro motivo. Budapest ha infatti aggiunto il suo veto per la questione MOL, l’azienda petrolifera ungherese che investe nei giacimenti in Croazia (ne avevamo parlato qui). Il 9 settembre scorso il Ministero degli Esteri ungherese ha rilasciato una comunicazione ufficiale in cui dichiara che Budapest non sosterrà la candidatura all’OCSE di Zagabria “a causa del suo comportamento nei confronti della compagnia petrolifera ungherese MOL e del suo amministratore delegato Zsolt Hernadi”. La Croazia ha infatti emesso un mandato di cattura contro Hernadi accusandolo di aver pagato, nel 2009, una tangente di 10 milioni di euro a Ivo Sanader, allora primo ministro croato, per la cessione di parte delle azioni della INA (azienda petrolifera croata) a favore della MOL.
Serbia e Montenegro
Dagli anni novanta in poi, le relazioni bilaterali tra Serbia e Croazia hanno nella storia il loro punto d’attrito principale. L’ultima querelle riguarda la targa commemorativa dell’HOS (gruppo paramilitare croato durante la guerra) a Jasenovac, che conteneva il saluto ustascia “za dom spremni” (pronti per la patria). Questa targa è sempre stata considerata, da Belgrado ma soprattutto dai serbi di Croazia, una provocazione, considerato che a Jasenovac nel corso della Seconda guerra mondiale sorgeva il campo di concentramento dove vennero uccisi migliaia di serbi, rom e ebrei. Il ministro della difesa serbo Aleksandar Vulin aveva fortemente criticato il governo del premier croato Plenković, nonché l’Unione Europea, affermando che sarebbe come avere a Mauthausen o Auschwitz una targa con la scritta “sieg heil” e si chiede come mai l’UE non intervenga per far rimuovere una targa che “uccide una seconda volta i bambini serbi trucidati durante la Seconda guerra mondiale”. La targa, alla fine, è stata rimossa lo scorso 7 settembre per essere spostata nella vicina cittadina di Novska.
E sempre i monumenti storici sono motivo d’attrito tra la Croazia e il Montenegro, in quella che si potrebbe definire una piccola “guerra dei monumenti”. A Slatina, in Montenegro, è stata affissa una targa di commemorazione a Puniša Račić, leader del partito popolare radicale che nel 1928 uccise nel parlamento del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni Stjepan Radić, leader del partito contadino croato, e altri due parlamentari. Il Ministero degli Affari Esteri croato aveva presentato una nota a Podgorica affinché rimuovesse la targa e preservasse così i rapporti di buon vicinato. Dopo qualche giorno, su iniziativa degli abitanti del posto, la targa a Račić è stata rimossa. Dall’altra parte del confine, invece, Podgorica ha richiesto a Zagabria la rimozione della statua di Miro Barešić, terrorista e nazionalista croato che nel 1971 uccise l’ambasciatore jugoslavo in Svezia, già leader dei partigiani montenegrini, Vladimir Rolović. Questa statua venne eretta nell’estate del 2016 nel villaggio di Drage, su iniziativa dei parenti di Barešić. Fino ad adesso, la richiesta del governo montenegrino è stata ignorata da Zagabria.
Bosnia Erzegovina
Infine, di tutt’altra natura sono i dissidi di Zagabria con il governo di Sarajevo e ruotano attorno al progetto del ponte che collegherebbe la costa alla penisola di Pelješac, nel sud della Dalmazia, “tagliando” il piccolo sbocco al mare bosniaco. La Bosnia Erzegovina sostiene che la costruzione del ponte leda il rispetto dei confini di stato e dell’accesso al mare aperto. Nonostante la Commissione Europea abbia già autorizzato i finanziamenti per la costruzione del ponte, il presidente del consiglio dei ministri bosniaco, Denis Zvizdić, lo scorso 18 settembre ha richiesto a Bruxelles di mettere in piedi un team di esperti croati e bosniaci che, insieme all’aiuto della Commissione UE, trovi una soluzione adeguata nel mutuo interesse dei due paesi.
Quella del Ministero degli Affari Esteri e Europei croato è stata quindi un’estate molto calda. Il governo Plenković dopo la lunga instabilità degli ultimi esecutivi croati dovrà dimostrare di saper far buon uso della diplomazia, nonché rispettare il diritto internazionale, specie per quanto riguarda la baia di Pirano. Ma soprattutto, non dovrà lasciare che i rapporti di vicinato si deteriorino in nome di quell’egoismo che, sempre nella tradizione locale dei Balcani, si riassume con l’espressione “nek’ komšiji crkne krava”, ovvero “che muoia la vacca del mio vicino”.