di Giuseppe Mancini
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L’11 luglio la compagnia aerea cinese Hainan ha inaugurato il primo volo Shanghai-Urumqi-Istanbul (Urumqi si trova nella regione autonoma dello Xinjiang, l’ex Turkestan orientale): la via della Seta continua a rinascere.
Già nel novembre 2010 la Turchia e la Cina hanno concluso un’esercitazione militare congiunta, dopo quella aerea del settembre nella base di Konya. Le informazioni trapelate sono estremamente frammentarie: si parla di unità per le operazioni speciali, di contesto montagnoso e di finalità anti-terroristiche; in ogni caso, è la prima volta che soldati dell’esercito cinese partecipano a un’esercitazione terrestre in un paese della Nato. Ma non c’è da stupirsene: perché i rapporti tra Ankara e Pechino sono sempre più stretti, al punto di assumere una rilevanza ormai strategica. E le visite ai massimi livelli, reciproche e profittevoli, si susseguono: del premier cinese Wen Jiabao in Turchia il mese scorso, tappa fondamentale del suo tour europeo, nel corso della quale sono stati firmati otto importanti accordi di cooperazione economica e politica; del ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu in Cina, dal 27 ottobre al 3 novembre 2010.
Una missione che ha dato ottimi risultati, secondo il capo della diplomazia turca: un tassello fondamentale per la creazione di una partenership strategica tra i due paesi, per il superamento dei vecchi paradigmi della Guerra fredda, per il ripristino delle connessioni dell’antica via della Seta. “Il risveglio della storia”, nelle parole di Davutoğlu : il ritorno in grande stile alla normalità di un passato in cui i due imperi – cinese e ottomano – erano legati da flussi reciproci di merci e di idee. Forte della volontà dei due paesi di triplicare entro pochi anni l’interscambio commerciale e di coordinare le proprie iniziative poltiche sulla scena internazionale, manifestata da Wen Jiabao in Turchia, il ministro turco ha compiuto un capolavoro diplomatico. Ha innanzitutto ottenuto l’assenso da parte delle autorità di Pechino a iniziare il suo itinerario da Kashgar e Urumqi, città della regione autonoma dello Xinjiang: l’ex Turkestan orientale, popolato dagli uiguri islamici e turcofoni, a più riprese incendiato da ondate separatiste e dalle risposte repressive cinesi.
Come quando, l’anno scorso, circa 200 morti e oltre mille feriti spinsero il primo ministro Erdoğan a parlare di un “quasi genocidio” e il ministro dell’industria Ergun a chiedere un boicottaggio delle merci cinesi. Davutoğlu, in effetti, ha presentato il suo viaggio proprio come parte fondamentale di un piano d’azione condiviso per superare la crisi degli “incidenti di Urumqui”; e la Cina, da parte sua, ha mostrato di apprezzare il ruolo stabilizzante che la Turchia può giocare nello Xinjiang, come garante delle speciali esigenze culturali e linguistiche degli uiguri (il ministero degli esteri turco, tra qualche anno, potrebbe aprirvi un consolato) e come partner nei piani di sviluppo socio-economico lanciati dopo la rivolta del 2009. Un’opportunità eccezionale, per Ankara: perché lo Xinjang, oltre a godere di una posizione invidiabile al centro dello scacchiere geopolitico asiatico, al centro dei traffici commerciali sulla via della Seta vecchia e nuova, è ricchissimo di risorse energetiche e soprattutto di minerali rari, uranio compreso.
Nelle sue ulteriori tappe di Shangai per l’Expo e di Pechino, sempre accompagnato da una folta delegazione di uomini d’affari e di intellettuali, Davutoğlu ha sottolineato a più riprese l’importanza strategica, per la Turchia, della cooperazione con la Cina. Nel corso dei colloqui con il vice-presidente Xi Jinping e col suo omologo Yang Jiechi, ha proposto ai cinesi due meccanismi istituzionalizzati: una piattaforma di cooperazione trilaterale tra Turchia, Cina e Pakistan, conversazioni periodiche per discutere di sicurezza e sviluppo in Asia centrale; un consiglio di cooperazione strategica tra i due paesi, sul modello di quello già creato tra Turchia e Russia. Un gruppo di studio congiunto è già stato formato, all’inizio del 2011 si incontrerà ad Ankara per discuterne i dettagli, per dare maggior vigore alle intese economiche, infrastrutturali e culturali recentemente siglate. E visto che proprio nel 2011 ricorre il 40° anniversario dell’avvio dei rapporti diplomatici tra i due paesi, su proposta turca verrà celebrato l’anno della Cina in Turchia (poi replicato l’anno seguente in Cina, quando verrà aperto un centro culturale turco): un programma di attività culturali e di incontri ai massimi livelli, inaugurato dal presidente Hu Jintao. Ma Davutoğlu ha anche tenuto a specificare, nelle sue conversazioni coi giornalisti del seguito ministeriale, che i rapporti con la Cina, grande potenza globale emergente, non debbono essere percepiti come alternativi a quelli con l’Occidente, che per la Turchia restano prioritari. Prioritari, ma evidentemente non più esclusivi.
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