Come la guerra in Ucraina ci ha ormai abituati, si torna a parlare con cadenza regolare del dispiegamento di una missione di peacekeeping nelle zone del conflitto. In molti saranno rimasti sorpresi dalla recente apertura di Mosca, manifestata dal presidente Vladimir Putin durante l’incontro dei paesi BRICS a Xiamen (Cina), che ha parlato di una bozza di risoluzione ONU preparata dalla Russia per il dispiegamento dei caschi blu in Ucraina. Ancora più sorprendente, forse, è stata la rapida reazione tedesca attraverso le parole del Ministro degli Esteri, Sigmar Gabriel. A Berlino si parla non solo di “sorpresa” e “soddisfazione” ma addirittura di un “cambiamento nella politica” russa nei confronti del conflitto in Ucraina. Ma la proposta di Putin è davvero una novità? Rappresenta realmente il primo passo verso la pacificazione del conflitto in Donbass?
I precedenti
Quella del dispiegamento delle ‘forze di pace’ in Donbass è un’idea che rimbalza regolarmente nelle dichiarazioni delle varie parti coinvolte nel conflitto. Kiev, con maggiore vigore dopo le intense fasi negoziali nel febbraio 2015 che portarono alla firma degli accordi di Minsk, ha da sempre chiesto la presenza dei caschi blu come garanzia del fragile cessate il fuoco. La questione è emersa anche durante la conversazione telefonica tra Poroshenko e il Segretario di Stato USA Tillerson lo scorso aprile, dopo che una macchina degli osservatori OSCE era saltata in aria su una mina, uccidendo un membro del convoglio. Proprio l’OSCE è stata poi al centro di un’altra infruttuosa discussione: non più di un anno fa si è speculato sulla possibilità di trasformare l’odierna missione di monitoraggio in una vera e propria missione di peacekeeping, senza alcun risultato.
Il problema finora non è stato tanto l’opposizione di Mosca di per sé, quanto l’impossibilità di trovare una soluzione che potesse soddisfare sia l’Ucraina che la Russia. Problema che emerge, a ben vedere, anche nella recente proposta di Putin.
La proposta di Putin
Entrando nello specifico, secondo quanto affermato dallo stesso Putin, i punti fondamentali della bozza di risoluzione presentata dalla Russia sono almeno quattro. Prima di tutto le ‘forze di pace’ dovrebbero essere dislocate lungo la linea di demarcazione che separa attualmente le forze ucraine e quelle dei ribelli. Secondo, le autoproclamate autorità delle repubbliche di Donetsk e Lugansk dovrebbero prendere parte in ogni discussione e negoziato sulla missione ONU. Terzo, il concreto dispiegamento della missione di peacekeeping dovrebbe avvenire solo dopo il ritiro degli armamenti pesanti dalla linea di demarcazione (cosa che sarebbe dovuta avvenire già da più di due anni, in quanto prevista dagli accordi di Minsk). Infine, il compito delle ‘forze di pace’ dovrebbe essere esclusivamente quello di proteggere la missione di monitoraggio OSCE.
L’opposizione di Kiev
La proposta formulata a Mosca, però, appare difficilmente accettabile per Kiev. Sebbene nella conversazione telefonica con Angela Merkel precedente al voto sulle nuove sanzioni alla Corea del Nord, Putin abbia mostrato flessibilità sulla zona di dislocamento della missione, rimangono numerosi punti di frizione con la posizione ucraina. Prima di tutto, la formulazione di compromesso proposta ora dal Cremlino rimane assolutamente vaga. Si parla, infatti, della possibilità di dislocare i caschi blu “non solo lungo la linea di contatto” – come proposto precedentemente – “ma anche in altri luoghi dove opera la missione di monitoraggio OSCE”. Nessun riferimento quindi al confine tra Ucraina e Russia, da sempre ritenuto il punto centrale da parte di Kiev.
Per l’Ucraina rimane difficilemente digeribile anche l’idea di negoziare una possibile missione di pace con le autorità delle due autoproclamate repubbliche separatiste, fattore che porterebbe ad ufficializzare di fatto la secessione di Donetsk e Lugansk e di legittimarne la leadership. Va ricordato, infatti, che in Donbass è in atto ufficialmente un’ operazione anti terrorismo (ATO) e che Kiev si è sempre rifiutato di negoziare direttamente con i cosiddetti “terroristi”.
Il Ministro degli Esteri ucraino, Pavlo Klimkin, ha definito l’idea promossa da Mosca come “manipolazione” e “schizofrenia politica”, mentre il presidente Poroshenko si è mostrato più aperto al dialogo rimarcando, però, che la missione ONU non potra essere concordata in nessun caso con i leader dei ribelli.
Le parti rimangono quindi su posizioni distanti. Il Cremlino tenta di scaricare le responsabilità su Kiev, mostrandosi disponibile al dialogo in un momento di particolare stress per le Nazioni Unite (Corea del Nord), ma presentando di fatto una proposta difficilmente accettabile per Kiev. Mischia, inoltre, le carte in tavola proprio nel momento in cui negli Stati Uniti si sta discutendo con maggior vigore la possibilità di fornire armi letali all’Ucraina. Date le premesse, i margini per una missione di pace, in verità, sembrano molto ridotti.
Ma la missione può servire?
Una riflessione andrebbe fatta, però, anche sull’effettiva utilità di una missione di peacekeeping in un conflitto altamente politicizzato come quello in Ucraina e sull’incapacità delle Nazioni Unite di agire in casi simili. Anche se lungo la linea di demarcazione si continua a sparare, il confine tra le parti si è ormai stabilizzato e, considerati il mandato e le regole d’ingaggio, non si capisce effettivamente come una missione ONU possa realmente favorire la concreta pacificazione del conflitto. Inoltre, in caso di rottura di equilibrio da parte di una delle parti, come agiranno i caschi blu considerato non solo il difficile coordinamento e le dubbie esperienze del passato (dal Ruanda alla Repubblica Democratica del Congo fino a Srebrenica), ma soprattutto un conflitto che vede coinvolto su fronti opposti, seppur indirettamente, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza?
Inoltre, dell’efficienza del Consiglio di Sicurezza si discute molto negli ultimi anni. Una proposta franco-messicana, ad esempio, vorrebbe superare il diritto di veto dei membri permanenti in “casi di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra”. Il focus della proposta è sicuramente la Siria, dove il veto è stato più volte invocato da Russia e Cina. Tuttavia, pur ammettendo un’improbabile modifica dei meccanismi decisionali del Consiglio di Sicurezza, l’applicazione al caso ucraino appare tutt’altro che scontata. Insomma, nonostante la mossa di facciata del Cremlino, una missione di peacekeeping in Ucraina rimane solo un miraggio.
Foto: UN Photo/Isaac Billy
trovo poco onesto non considerare che nello scachiere geopolitico la separazione di ucraina, bielorussia e russia sia stato pianificato già dalla dottrina wolforowitz, “impedire il sorgere di ogni potenza locale…”
Il golpe Ucraino è un pericolo gravissimo per la sicurezza russa, la perdita della crimea avrebbe significato aprire il mar nero all’egemonia americana.
Lo schieramento Nato dai paesi baltici all’Ucraina significa per la russia avere i nemici sul confine, senza alcuna barriera naturale esattamente sulle tre direttrici dell’operazione barbarossa: nord (baltico) Sud (ucraina, centro
Non si può creare un assedioad un peese che ha già vissuto invasioni devastanti, la Russia è una potenza nucleare e il gioco USA è terribilmente pericoloso: nessun russo permetterà una nuova invasione e una nuova guerra totale, di distruzione come l’ultima subita.
È un gioco che non promette nulla di buono, mette a repentaglio la stessa esistenza dell’essere umano come specie.