Sebbene la famosa partita del drone si sia disputata tra Serbia e Albania quasi due anni fa, la vicenda giudiziaria che ne è seguita è ancora piuttosto intricata e sembra poter mettere alla prova i fragili equilibri internazionali tra i governi coinvolti.
Come raccontammo all’epoca, durante la partita di qualificazione a Euro 2016 un drone che trasportava la bandiera della Grande Albania fece irruzione sul terreno di gioco dello stadio di Belgrado; la partita venne immediatamente sospesa a seguito degli incidenti che scoppiarono, ma le ripercussioni politiche andarono avanti per alcune settimane. Infatti il governo serbo considerava, e considera tuttora, quella bandiera una provocazione inaccettabile; posizione aggravata dalle teorie – col senno di poi infondate – che a pilotare il drone fosse il fratello del primo ministro albanese Edi Rama.
In realtà alcune ore dopo l’episodio venne a galla che dietro quel gesto vi era Ismail Morina, sedicente patriota albanese che con quel gesto intendeva rispondere alle provocazioni serbe – o provocare a sua volta, secondo il punto di vista dell’osservatore – mostrando una bandiera raffigurante la Grande Albania, territorio che idealmente comprenderebbe principalmente lo stato albanese insieme alle regione del Kosovo oltre ad alcune province di Macedonia, Serbia, Montenegro e Grecia.
Morina, che in passato aveva vissuto per lunghi periodi in Italia, fu arrestato qualche tempo dopo dalla polizia croata nella località di Dubrovnik, seguendo un mandato di cattura serbo; gli furono inoltre imputate le accuse di incitazione all’odio etnico e razziale, un reato per il quale la pena prevista può arrivare anche a otto anni.
Nonostante la detenzione in territorio straniero, la fase processuale del caso Morina è affidata alla giurisdizione di Belgrado, che si occuperà del caso non appena le autorità croate daranno il via libera all’estradizione dell’imputato e autorizzeranno il trasferimento da Dubrovnik alla capitale serba.
In una prima fase, risalente ad alcune settimane fa, sembrava improbabile che Morina potesse essere processato in Serbia dove, a detta della linea difensiva, non avrebbe avuto un processo equo a causa della sua nazionalità. La difesa di Morina, infatti, sosteneva l’impossibilità di ricevere un trattamento equo, così come previsto dalla costituzione serba, e pertanto riteneva che la corte croata avrebbe fatto meglio a impedirne il trasferimento. Questa strategia difensiva è stata tuttavia giudicata priva di fondamento dal tribunale croato competente a pronunciarsi sull’argomento e pertanto il ricorso di Morina – presentato anche di fronte alle istituzioni europee – è stato rigettato.
Con l’estradizione di Morina dovrebbe concludersi questa prima parte processuale, tuttavia la vicenda pare ben lontana da trovare un epilogo definitivo.
Foto: Ismail Morina – Ballisti (Facebook)