Victoria Lomasko, Thomas Campbell (translator)
Other Russias
Penguin, 2017
pp. 320
£ 16,99 (18,50€)
Come si vive nella Russia di oggi nei carceri minorili? O ancora, tra i lavoratori centroasiatici che vengono schiavizzati nei negozi di alimentari moscoviti? E all’interno della comunità LGBT di San Pietroburgo? Il libro Other Russias di Victoria Lomasko, edito da Penguin nel giugno 2017, propone uno spaccato di queste e molte altre realtà della Russia contemporanea.
Il titolo stesso del libro esprime la vocazione dell’autrice di presentare diverse ed inedite sfaccettature della società russa nella recente era putiniana: Victoria Lomasko riesce nell’impresa riunendo in un solo volume una ricca serie di disegni ed interviste collezionati tra il 2008 e il 2016 durante i suoi viaggi in giro per la Russia.
Se per gli “addetti ai lavori” aventi una profonda conoscenza della realtà russa il libro rischia di non raccontare niente di nuovo, la sua forza sta nell’immediatezza dei ritratti e delle parole, che riflettono con grande onestà ed empatia la disperazione, la rabbia, la forza di volontà e l’ironia di un popolo. Attraverso le due sezioni in cui è diviso il libro, il lettore è coinvolto in una conversazione illustrata con i russi di oggi. Nella prima sezione, si descrive una Russia “invisibile”, fatta di gruppi sociali emarginati e ignorati: quella delle prostitute di Nižnij Novgorod, dei disperati che cercano conforto nell’alcool o nel fanatismo ortodosso, degli abitanti di villaggi che non hanno più scuole né lavoro… Nella seconda parte, l’autrice conduce un excursus cronologico nella Russia degli “arrabbiati”, attraverso una cronaca dettagliata delle più importanti proteste dell’opposizione tenutesi dopo le elezioni del 2011, passando per il processo contro le Pussy Riot, per giungere a movimenti sociali più recenti e spontanei come gli scioperi dei camionisti contro la tassa Platon nell’inverno del 2015 o le proteste a difesa dei parchi cittadini a Mosca.
L’autrice di Other Russias, Victoria Lomasko, è un’artista grafica e attivista nata nel 1978 a Serpuchov (Russia) e residente a Mosca. Lomasko è co-autrice del libro Arte Proibita (Zapreščënnoe iskusstvo), nominato nel 2010 al premio Kandinsky, ed i suoi lavori sono stati esposti in svariate mostre in Russia e all’estero. L’autrice stessa definisce il proprio stile “giornalismo grafico”: un processo creativo e di ricerca basato su un approccio giornalistico e di attivismo nel campo dei diritti umani. In Other Russias, c’è infatti una chiara volontà di dar voce a realtà, a volte crude e disperate, che spesso sono ignorate dai media e sfuggono al pubblico – sia russo che occidentale.
Intervistata da East Journal, l’autrice ci parla di Other Russias, dell’attuale crisi nella scena artistica russa e di cambiamenti significativi nella partecipazione dei russi a movimenti sociali e politici.
Perché Other Russias è stato pubblicato prima negli Stati Uniti, poi in Inghilterra, e non ne esiste una versione “originale” in lingua russa?
Questa domanda andrebbe rivolta alle case editrici russe piuttosto che a me. Per sette anni ho lavorato molto in Russia, partecipando a mostre e conferenze sul giornalismo grafico. Dal 2014 in poi è cominciata una seria repressione nella sfera culturale, rafforzatasi attraverso l’adozione di leggi contro l’offesa dei sentimenti religiosi e l’estremismo. Negli ultimi tre anni non ho partecipato a nessuna mostra organizzata in Russia, e nessun editore mi ha proposto di pubblicare Other Russias, né altri lavori.
Il recente arresto del regista Serebrennikov (accusato di appropriazione indebita di 68 milioni di rubli destinati alla sua compagnia teatrale “Sed’maja Studija”) è legato alla stessa repressione rivolta alla sfera culturale e all’arte contemporanea di cui parla, e che affrontava anche nel suo precedente libro L’arte proibita?
Sicuramente l’arresto di Serebrennikov si inserisce in dinamiche molto simili. Però c’è da fare una precisazione: non si tratta di una repressione rivolta all’arte in quanto tale, intesa in senso concettuale, ma esclusivamente agli artisti che affrontano tematiche sociali e politiche.
Nella prefazione a Other Russias, lei dice di aver scelto il giornalismo grafico come metodo creativo per opporsi alla scena artistica contemporanea russa, che definisce “dissociata dal pubblico e dalla vita reale”. Come spiega questa separazione?
In realtà, una vera scena artistica russa – che prima esisteva solo a Mosca – oggi non esiste praticamente più. Finché era facile guadagnare vendendo gas, petrolio ed altre risorse naturali, l’arte contemporanea serviva spesso a riciclare soldi e a compiacere gli oligarchi. Durante tutti gli anni duemila non mi sono mai imbattuta in artisti il cui lavoro riflettesse la realtà in cui viviamo. Ora di soldi in Russia ce ne sono pochi, e nessuno è più disposto a investire in un’arte finta, impossibile da vendere all’estero. Oggi il 90% degli artisti russi è semplicemente scomparso da qualsiasi spazio, la maggior parte delle gallerie ha chiuso, e una delle ultime strutture superstiti – il centro per l’arte contemporanea Garaž – sembra minacciata dal divorzio tra Žukova e Abramovič (fondatori del centro, NdA)… E’ una situazione molto sconfortante.
Quali personaggi in Other Russias sono stati più interessanti da disegnare – gli “invisibili” o gli “arrabbiati”?
Sicuramente è stato molto più piacevole disegnare gli “arrabbiati”, ovvero persone che hanno l’audacia di reclamare dei diritti, dei cambiamenti. Eppure, alla fine, anche gli arrabbiati sono diventati “invisibili”: le proteste dei camionisti accampati a Chimki, per esempio, non hanno fatto notizia in Europa, e nemmeno in Russia se ne è parlato.
Nella seconda parte del libro si delineano due diverse evoluzioni dei movimenti sociali in Russia negli ultimi cinque anni. Da una parte, le grandi proteste organizzate dall’opposizione, come la Marcia dei Milioni, si sono praticamente spente. Dall’altra, si sviluppano dei movimenti sociali spontanei, come le proteste dei camionisti, quelle a difesa dei parchi cittadini o contro la demolizione delle chruščëvki a Mosca. Questi manifestanti si considerano “al di fuori della politica”, ma non è realmente così. Come spiega questi cambiamenti?
Le proteste del 2012 avevano come scopo la rivendicazione di determinati diritti politici e i manifestanti appartenevano principalmente al ceto medio, erano persone con una buona educazione e un lavoro che offriva determinate prospettive. Credo che almeno la metà di coloro che hanno manifestato attivamente fino al 2012 siano oggi emigrati. E’ qualcosa di molto caratteristico: in Russia può parlare apertamente di politica e protestare attivamente solo chi ha la certezza di potersi rifare una vita all’estero. Al contrario, le persone che oggi cercano di mobilitarsi, i camionisti o i “difensori dei parchi”, appartengono ad un altro ceto sociale che nel 2012 non si era attivato. Sono persone che non hanno studiato, non sono mai state all’estero e sicuramente non chiederanno asilo politico in Europa. Oggi queste persone manifestano perché non hanno altra scelta. E se all’inizio non parlavano di politica, era perché non sapevano di cosa si trattasse, né quale fosse il loro posto nella politica, ma durante le proteste hanno dovuto imparare. Credo che queste manifestazioni siano qualcosa di molto serio, perché questa gente non ha nulla da perdere. Chiaramente, al Cremlino non interessa il benessere della gente, ma penso che le autorità non si rendano conto che i russi si trovano nella povertà più assoluta. E non parlo di Mosca, dove ancora si riesce a sopravvivere, ma del resto del paese, dove in migliaia di città non c’è lavoro, non ci sono prospettive, dove la gente si distrugge lentamente con l’alcool, o si fa di eroina, dove ci sono epidemie di AIDS, dove mancano le strutture scolastiche e sanitarie. E’ questa la Russia di oggi. Ed è per questo che i movimenti di protesta continueranno.
Quali sono i suoi progetti per il futuro sul piano professionale?
Per prima cosa, voglio continuare a raccogliere del materiale per un terzo libro che sarà dedicato al mondo post-sovietico e alle trasformazioni in corso nelle società del Caucaso e dell’Asia centrale. Vorrei anche cercare di crescere a livello professionale, non da attivista ma da artista: ho bisogno di tempo, spazio e risorse per riflettere a questioni di natura plastica, ma questo è praticamente impossibile nella situazione in cui mi trovo attualmente, senza la possibilità di pubblicare in Russia. Le mie uniche pubblicazioni recenti si trovano sul sito Colta.ru, che esiste solo grazie alle donazioni e che quindi non può pagare uno stipendio, neanche simbolico, ai collaboratori.