Il 20 luglio del 1992 Václav Havel, capo di stato della Cecoslovacchia rassegnava le dimissioni a neanche tre settimane dalla rielezione. Tre giorni prima, il parlamento di Bratislava aveva adottato la Dichiarazione di indipendenza della nazione slovacca. Havel non avrebbe presieduto alla dissoluzione del paese.
Fu il suo futuro successore e allora premier ceco, Václav Klaus, a fare visita all’omologo indipendentista slovacco Vladimír Mečiar, ed accordarsi per una dissoluzione pacifica della federazione presso la villa Tugendhat a Brno il 26 agosto 1992. La Cecoslovacchia, nata nel 1918, sarebbe morta il 31 dicembre 1992, e la sua successione regolata da leggi costituzionali passate a novembre dal parlamento federale.
I cittadini cecoslovacchi videro il “divorzio di velluto” prendere forma davanti ai loro occhi con un misto di incredulità e rassegnazione. In un sondaggio del settembre ’92, solo il 37% degli slovacchi e il 36% dei cechi approvavano la dissoluzione. I due nuovi stati si impegnarono a non utilizzare la vecchia, iconica, bandiera cecoslovacca, ma dopo qualche mese con banale bicolore boemo bianco-rosso, i cechi la riadottarono.
I destini incrociati di Praga e Bratislava in Europa
Repubblica Ceca e Slovacchia vissero in maniera diversa gli anni della transizione. In maniera relativamente tranquilla a Praga, anche grazie alle ottime relazioni con Berlino e Vienna; in maniera più turbolenta a Bratislava, che fino al 1998 rimase isolata in Europa per via dell’autoritarismo del governo Mečiar. Tuttavia, anche la Slovacchia riuscì ad agganciarsi al “treno per l’Europa” ed entrare nell’UE nel 2004.
Da allora, i destini di Praga e Bratislava si sono invertiti. La Slovacchia cresce economicamente, è entrata nell’euro ed è sempre più integrata con il nocciolo duro europeo, nonostante qualche rigurgito di destra e la reticenza dei governi Fico sulle questioni di asilo e migrazione. La Repubblica Ceca ha invece visto crescere l’euroscetticismo – incarnato dall’ex presidente Klaus e dall’attuale Zeman – e la frammentazione politica, con ripetute crisi di governo (l’ultima a maggio) che non hanno giovato alle prospettive economiche. Praga ha comunque resistito alle tentazioni delle sirene di Orban e, ultimamente, di Kaczynski, preferendo moderare l’euroscetticismo pur di mantenersi in buone relazioni con Berlino e Vienna.
Il bilancio del “divorzio di velluto”
A venticinque anni dal “divorzio di velluto”, qual è il bilancio per entrambi i paesi, oggi partner nell’Unione europea e nel gruppo di Visegrad? Come riporta Eurotopics, secondo Marius Kopcsay del giornale slovacco SME nessuno ha vinto davvero nella vicenda:
Nonostante le crescenti tensioni in entrambe le parti del paese, la maggioranza della popolazione preferiva uno stato comune e considerava il divorzio un’assurdità. Klaus e Mečiar hanno tuttavia legittimato l’idea della separazione. Basandosi su risultati delle elezioni che hanno conferito loro il potere, ma senza un mandato esplicito per una divisione. … Oggi la Slovacchia è un membro dell’UE, della NATO e fa parte dell’area dell’euro. Può considerarsi su un piano di parità con la Repubblica ceca. Eppure il paese che Mečiar e Klaus gettavano via 25 anni fa era un paese dove regnavano la dignità, la libertà, la giustizia e le pari opportunità. Il confine che hanno creato non separa due paesi, ma divide i privilegiati che ha approfittato di tutto e le persone comuni che ne hanno pagato le conseguenze.”
Filip Nerad, per il portale radio pubblico Český Rozhlas, riflette invece sull’immagine dei due stati successori della Cecoslovacchia in Europa:
Non molto tempo fa, la Repubblica ceca era considerata il paese più ragionevole dell’Europa centrale e orientale. Un posto ora occupato dalla Slovacchia, mentre la Repubblica ceca perde la sua influenza. Durante la sua presidenza del Consiglio UE, nella seconda metà dello scorso anno, Bratislava si è fatta un nome a Bruxelles. A differenza dei suoi partner regionali, intende collocarsi al fianco della Germania e della Francia. … Se Praga non ha l’ambizione di essere relegata alla periferia dell’UE, alcune delle sue decisioni sembrano portarla lì. La Slovacchia, da parte sua, suscita rispetto; ricevuto ovunque a braccia aperte, il primo ministro Robert Fico è diventato il beniamino di Bruxelles. Ai cechi di imitarlo”.
Lezioni slovacche per Praga?
I premier dei due paesi, Sobotka e Fico, si sono presentati insieme alla televisione ceca in occasione dell’anniversario della separazione consensuale. La Slovacchia, ha confermato Fico, intende continuare a far parte del nucleo duro dell’UE, e punta a raggiungere entro dieci anni lo standard di vita dei paesi europei occidentali, anche grazie all’integrazione fiscale e sociale europea. La Repubblica Ceca da parte sua valuterà con attenzione l’esperienza slovacca nell’euro: è un fatto, ha riconosciuto il premier ceco Sobotka, che la Slovacchia nell’euro ha prosperato. E il governo ceco ha già chiesto di poter partecipare come osservatore ai consigli dei ministri delle finanze dell’eurozona.
Il presidente ceco Zeman ha infine ricordato come la dissoluzione avesse di fatto avuto inizio già nel 1990, con controversie banali sul nome dello stato federale (“Cecoslovacchia” o “Ceco-Slovacchia”?). Zeman ha anche ricordato come lui stesso avesse proposto un’alternativa confederale, con due bilanci separati: l'”Unione cecoslovacca”. Un paese che non fu.