L’11 e 12 luglio si è tenuto a Trieste sotto presidenza italiana il quarto appuntamento del processo di Berlino. L’iniziativa lanciata nel 2014 da Angela Merkel è volta a sostenere l’integrazione europea dei Balcani occidentali attraverso un vertice annuale tra gli stati della regione e alcuni stati membri UE. Gli obbiettivi di tale iniziativa sono la risoluzione delle dispute bilaterali, l’incremento della cooperazione regionale e lo sviluppo infrastrutturale ed economico nell’area dei Balcani occidentali.
Al vertice tra i capi di stato sono stati affiancati nel tempo una serie di altri appuntamenti: un forum per la società civile, uno per le parti economiche, e uno per i giovani. Tra i successi concreti raggiunti al summit di Trieste vi sono la firma del trattato che istituisce una Comunità dei Trasporti tra l’UE e i sei paesi dei Balcani occidentali extra-UE (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia); la presentazione di un Piano d’azione pluriennale per l’area economica regionale da parte degli stati dell’area; e l’avvio dei lavori dell’Ufficio Regionale per la Cooperazione Giovanile, a Tirana (RYCO).
Dove porta il processo di Berlino?
L’iniziativa del processo di Berlino è difficile da inquadrare anche per gli stessi addetti ai lavori. Per fugare ogni dubbio, va subito sottolineato che la politica d’allargamento europea e il processo di Berlino sono due cose distinte. Tanto distinte che ai sei paesi dei Balcani occidentali extra-UE, ai due già parte dell’UE (Croazia e Slovenia) e ai quattro stati “sponsor” dell’integrazione europea dei Balcani occidentali (Austria, Francia, Germania e Italia) si è aggiunto quest’anno il Regno Unito, che l’anno prossimo, in piena Brexit, ospiterà il summit 2018 del processo di Berlino.
L’alto numero e la varietà degli incontri che si sono tenuti il 12 luglio impedisce di cogliere in modo coerente l’esito del summit di Trieste. Il forum della gioventù, quello economico e quello della società civile hanno declinato in maniera diversa parole d’ordine condivise quali “mobilità”, “abbattimento delle barriere”, “imprenditorialità”, “inclusione”, “connettività”. Grandi assenti del summit sono state invece le iniziative a favore della risoluzione delle varie dispute bilaterali presenti nella regione: dalle numerose dispute territoriali allo status del Kosovo e al nome della Macedonia.
Mentre i capi di stato e i vertici UE rilasciavano interviste sui passi avanti della regione per quanto riguarda la stabilità e l’integrazione europea, le organizzazioni della società civile (qui le loro raccomandazioni) evidenziavano il peggioramento in termini di indipendenza dei media e di sviluppo democratico nell’area e discutevano dell’insorgere delle “stabilocrazie” – termine di tendenza tra gli esperti per definire vari regimi politici dei paesi dei Balcani occidentali, dove la politica dell’UE viene accusata di promuovere un’oculata stabilità a scapito dello sviluppo democratico.
Nonostante tutto, il summit di Trieste del processo di Berlino ha radunato, tutti quegli attori, dalla politica all’impresa alla società civile, che lavorano a favore dell’integrazione europea dei Balcani occidentali. Ci si augura fortemente che tale iniziativa possa continuare oltre il 2018 e liberare le sue energie a ridosso dell’accesso dei Balcani occidentali all’UE, così da trasmettere il proprio entusiasmo al resto degli stati e della popolazione dell’Unione.
Fatti concreti del summit di Trieste
Appuntamento centrale del vertice è stata la firma del Trattato della Comunità dei Trasporti (TCT) tra cinque paesi dei Balcani occidentali e l’Unione Europea, simile alla già esistente Comunità dell’Energia, in corso di negoziazione sin dal 2008. Il trattato, firmato il 12 luglio al summit di Trieste, di fatto integra i Balcani occidentali nel mercato europeo dei trasporti terrestri (non riguarda i trasporti aerei) e permette agli stati dell’area di accedere agli strumenti di finanziamento della Connecting Europe Facility alla pari degli stati membri.
Dalla cerimonia della firma del trattato è però rimasta assente la Bosnia-Erzegovina, la cui entità a maggioranza serba, la Republika Srpska, ha posto il veto sul trattato internazionale perché ufficialmente contraria all’aprire il proprio mercato alle compagnie di trasporto europeo. Nel corso del vertice, alla presenza della commissaria europea ai trasporti, la slovena Violetta Bulc, sono stati approvati altri sette progetti infrastrutturali, portando a venti il totale dei progetti finanziati attraverso il processo di Berlino – ma i quattro progetti riguardanti la Bosnia rimangono ora congelati fino alla firma del TCT.
Il Consiglio di cooperazione regionale (RCC) ha inoltre presentato d’accordo con i sei paesi dei Balcani occidentali un Piano d’azione pluriennale per l’area economica regionale. L’idea di un’area economica regionale è stata presentata al summit di Sarajevo dell’11 maggio scorso e punta a una maggiore integrazione economica tra i paesi dei Balcani occidentali attraverso l’abbattimento delle barriere non-tariffarie al libero scambio di merci e servizi.
L’ambizioso progetto di un’unione doganale, suggerito dalla Serbia, è stato ridimensionato dall’opposizione di Albania e Kosovo che rimangono freddi anche nei confronti dell’area economica. Il “Piano d’azione” resta di fatto un’ambiziosa dichiarazione di intenti. Diviso in quattro settori – commercio, investimenti, mobilità e integrazione digitale – il piano d’azione presenta delle date orientative in cui affrontare i vari argomenti e le sedi istituzionali in cui svolgere le discussioni. Il piano d’azione specifica che il Trattato centro-europeo di libero-scambio (CEFTA), di cui fanno già parte tutti i paesi dell’area, fornisce la base legale per l’area economica regionale e che questa non avrà bisogno di altre istituzioni o organizzazione comuni. Assieme, il segretariato del CEFTA e quello del RCC avranno il ruolo di elaborare rapporti e informare sugli sviluppi dell’area economica regionale.
Nei fatti il Piano d’azione pluriennale rappresenta un rilancio di impegni già assunti, con l’intenzione di orientare verso un’unica iniziativa, l’area economica regionale, le attività delle istituzioni internazionali nei Balcani occidentali in termini di abbattimento delle barriere e connettività. I critici sottolineano però che l’ambizioso progetto è destinato al fallimento: al momento i paesi della regione hanno pochi stimoli a commerciare e competono piuttosto tra loro nell’esportazioni verso gli stati dell’UE.
Infine, l’ufficio regionale per la cooperazione giovanile (RYCO) ha ricevuto l’assenso definitivo a cominciare i lavori. RYCO punterà a favorire la mobilità giovanile e gli scambi scolastici nella regione in modo da contrastare pregiudizi e divisioni ereditate dalle guerre degli anni ’90. Sfortunatamente però, le ex-repubbliche jugoslave di Slovenia e Croazia, già membri dell’Unione Europea, hanno reiterato il loro rifiuto a partecipare all’iniziativa. Mentre RYCO presentava la mobilità regionale per riavvicinare le giovani generazioni della regione, al forum della gioventù, i giovani richiedevano invece più possibilità di scambio con l’Unione Europea, indicando nel non-riconoscimento dei diplomi una delle maggiori barriere alla mobilità continentale.
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association e PECOB, Università di Bologna.