Anche la principale forza d’opposizione turca, il Chp, si trova ora a combattere per la libertà di uno dei suoi parlamentari. Il numero due del partito, Enis Berberoğlu, è finito dietro alle sbarre, lo scorso 14 giugno, dopo essere stato condannato per spionaggio dalla quattordicesima corte penale di Istanbul. La procura aveva chiesto per lui una condanna a vita, poi ridotta a 25 anni.
Berberoğlu è stato giudicato colpevole di rivelazione di segreti di stato, e ciò per aver fornito al direttore e al caporedattore del quotidiano Cumhuriyet, rispettivamente Can Dündar e Erdem Gül, un video – diffuso nel 2015 – che proverebbe il passaggio di armi tra il MİT, l’intelligence turca, e un gruppo di ribelli siriani anti-Assad. L’episodio risalirebbe al 2014.
Dopo la condanna, il parlamentare è stato trasferito nella prigione di Maltepe, a Istanbul, dove attenderà la conclusione del processo di appello.
Berberoğlu, il primo del suo partito a finire in manette, raggiunge così altri 13 deputati dell’Hdp, il partito filocurdo, da mesi in carcere per i loro presunti legami con il gruppo terroristico del Pkk. Tra questi, il leader del partito filocurdo, Selahattin Demirtaş, e la sua vice, Figen Yüksekdağ.
Adalet! La marcia della giustizia
La condanna ha subito scatenato le proteste dei parlamentari del Chp che hanno abbandonato l’aula. «Questo arresto dimostra che anche il potere giudiziario è completamente nelle mani del governo», ha commentato Engin Altay, deputato del partito. «Se i giudici iniziano a prendere delle decisioni con il solo scopo di compiacere il dittatore, allora Dio danni questa giustizia».
All’indomani della sentenza,
Le reazioni del governo
Dopo il silenzio delle prime ore, le reazioni – anche ironiche – degli uomini del presidente, Recep Tayyip Erdoğan, non si sono fatte attendere. «Con questo caldo, nel mese del Ramadan, è meglio non andare a piedi; si può tranquillamente prendere il treno ad alta velocità», ha commentato il premier Binali Yıldırım. Che ha poi aggiunto che le decisioni della magistratura vanno rispettate e che è irresponsabile chiedere alla gente di manifestare.
Can Dündar: “In Turchia vige uno stato di terrore”
Il direttore di Cumhuriyet, Can Dündar, colui che ha reso pubblico il contestato video che lega la Turchia di Erdoğan ai ribelli siriani anti-Assad, vive da oltre un anno in esilio forzato in Germania dopo una condanna in primo grado a 5 anni e 10 mesi. «In Turchia non è possibile parlare di democrazia nel senso a cui siamo abituati. Lo Stato ha imposto un’atmosfera di terrore, ma allo stesso tempo ci sono tante persone che cercano di opporsi e questo ci dà la forza per non smettere di sperare», ha ammesso Dündar intervenendo, lo scorso maggio, al Festival “Mediterraneo Downtown” di Prato.
«Se ripubblicherei l’articolo che mi è costato una condanna e mi ha costretto all’esilio? Assolutamente sì, perché noi giornalisti abbiamo una missione», ha aggiunto. «Faccio questo mestiere da 35 anni e in Turchia stiamo vivendo il periodo più buio di sempre. Ci sono almeno 150 giornalisti in prigione, 12 della mia stessa testata. E’ terribile, ma dobbiamo continuare a lottare».
Dal luglio 2016 in Turchia, è in vigore lo stato d’emergenza, proclamato dal presidente Erdoğan a seguito del fallito colpo di stato che per Ankara sarebbe stato orchestrato dal predicatore Fethullah Gülen. In meno di un anno, sono finite in carcere 50 mila persone, mentre oltre 100mila hanno perso il proprio lavoro.
Foto: Twitter, dal profilo del CHP