EaST Journal continua il suo approfondimento sulla rivoluzione romena delineando il quadro internazionale in cui si inserirono gli eventi del dicembre 1989. Qui trovate la prima puntata.
Nel dicembre 1989 la Guerra Fredda sta ormai esalando gli ultimi faticosi respiri: il muro di Berlino è crollato, in Polonia si sono svolte elezioni semi-libere che hanno visto il trionfo di Solidarnosc, in Cecoslovacchia la cosiddetta “rivoluzione di velluto” sta lentamente abbattendo il sistema comunista. Tuttavia, per quanto ormai morente, nel 1989 la Guerra Fredda non è ancora finita. In un sistema globale ancora dominato dal bipolarismo americano-sovietico, cercare le cause della rivoluzione romena solo in fattori endogeni sarebbe un madornale errore di prospettiva. Il contesto internazionale conta forse ancor di più delle ragioni interne, tanto da poter affermare che, se Gorbaciov non fosse diventato leader del PCUS, i fatti di Romania non si sarebbero svolti nei modi e nei tempi che conosciamo.
Giunto ai vertici del comunismo sovietico, Gorbaciov fece capire fin da subito che il rapporto con l’Europa orientale comunista doveva cambiare: l’URSS, in una crisi economica profonda, non poteva più permettersi di tenere in vita le economie dei paesi del patto di Varsavia vendendo a prezzi irrisori le sue materie prime, ricevendo in cambio prodotti di pessima qualità. Il nuovo uomo forte sovietico inoltre si fece immediatamente promotore di politiche di maggiore apertura e trasparenza, convinto che solo una ristrutturazione totale della vecchia impalcatura avrebbe potuto garantire la sopravvivenza del comunismo.
Ceauşescu non provava alcun tipo di simpatia verso Gorbaciov; il romeno si sentiva un veterano del comunismo internazionale e non accettava che un giovane con idee “semi-rivoluzionarie” si facesse promotore di un cambiamento così radicale del sistema. Al di là del fatto ideologico, Ceauşescu era ben consapevole che la perdita delle economiche materie prime sovietiche avrebbe inferto un colpo mortifero alla fragilissima economia romena. Il leader sovietico visitò Bucarest per la prima volta nel maggio 1987, accolto in pompa magna da Ceauşescu e signora. In un paese ormai ridotto alla fame, negli scaffali dei negozi riapparvero magicamente alimenti di ogni sorta, per dimostrare all’illustre ospite come le politiche governative avessero prodotto nient’altro che benessere. Gorbaciov era tuttavia bene informato sulla situazione romena, e nel corso della cena a quattro tra i due capi di Stato e le loro rispettive consorti non lodò le magnifiche realizzazioni del regime, ma al contrario sottolineò la necessità di riforme radicali. I traduttori presenti alla cena raccontano del clima teso che caratterizzò la serata. Gorbaciov tornò in Romania nel luglio 1989, per partecipare alla riunione del comitato politico esecutivo del Patto di Varsavia. I rapporti con il Conducător erano così deteriorati che il leader sovietico si diresse dall’aeroporto verso il centro di Bucarest in un’auto fatta arrivare direttamente da Mosca, sulla quale Ceauşescu si rifiutò di salire.
L’antipatia ormai assodata tra i due ha dato adito negli ultimi anni a teorie complottiste più o meno fantasiose. Secondo una delle più in voga negli ultimi anni, la morte di Ceauşescu sarebbe stata decretata da Gorbaciov e Bush senior nel summit di Malta del 2-3 dicembre 1989. Americani e sovietici si accordarono per un inasprimento delle sanzioni economiche nei confronti della Romania, ma non c’è alcuna prova di una deliberata scelta di far fuori Ceauşescu. Ben più probabile è che, venutasi a creare l’occasione per un cambiamento al vertice dello stato romeno, Mosca abbia deciso di cavalcare l’onda, sostenendo per quanto possibile i rivoluzionari romeni. In altre parole, Gorbaciov colse l’attimo, e si dimostrò immediatamente favorevole alla rivoluzione. E’ difficile credere che gli eventi di dicembre possano essere stati orchestrati solo a Bucarest e dintorni, ma parlare di un progetto premeditato a Malta risulta quanto meno fantasioso, oltre che non dimostrabile.
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