di Micol Flammini
Cosa ha reso la Polonia un paradiso incastonato tra la solida Germania e il povero est? La mentalità ha contribuito, ma la vera svolta è arrivata con l’Unione Europea.
Dal 2004, la Polonia ha ricevuto circa 250 miliardi di euro, cifra che in dollari equivale all’intero Piano Marshall. Le nazioni europee che più versano nelle casse di Varsavia sono Germania e Gran Bretagna: non solo indirettamente, attraverso i contributi per i fondi europei, ma anche direttamente, per la costruzione delle infrastrutture locali. I treni e le ferrovie polacche battono bandiera tedesca, gli aeroporti hanno la firma inglese. La Germania per continuità territoriale e forse un senso di colpa atavico, la Gran Bretagna, invece, nella speranza di favorire il rientro dei polacchi emigrati in terra inglese.
Varsavia è l’affare più riuscito dell’Ue. Nel tempo ha costruito infrastrutture e reso moderna una nazione che aveva vissuto per trentasette anni nell’orbita dell’Unione Sovietica.
Il miracolo polacco, però, non è stato solo frutto dei fondi strutturali europei. I numeri evidenziano uno sviluppo soprattutto nei settori della finanza e della comunicazione che dal 2010 al 2016 sono cresciuti circa del 46%. La spiegazione si trova uscendo dalla stazione centrale di Varsavia dove il messaggio che la città lancia al visitatore è chiaro. Basta guardare il cielo per capire chi comanda nella capitale polacca. Il Palazzo della Cultura e della Scienza, “regalo” di Stalin del 1955, ha perso la sfida verso le nuvole. Da edificio più alto della città è diventato un abitante del sottobosco architettonico. Soppiantato dai grattacieli di Coca-Cola, Mariott, Bosch, McDonalds’, Deloitte e Zepter. Il Palazzo della Cultura, soffoca all’ombra delle più grandi multinazionali che hanno deciso di aprire le loro sedi proprio in Polonia. Perché? Poche tasse e lavoratori ben preparati.
Ora la Polonia corre veloce e mentre il cuore dell’Europa soffriva a causa della crisi, Varsavia accoglieva banche e multinazionali che creavano migliaia di nuovi posti di lavoro.
Non esiste partita fiscale in cui la Polonia perda e a renderla così attraente sono i numeri: secondo il Corporate and Indirect Tax Survey, l’imposizione fiscale sulle imprese italiane è del 31,4%, mentre in Polonia è del 19%. Un dato generale che però evidenzia un peso del fisco molto inferiore. Insomma, investire a Varsavia è più conveniente che farlo a Roma, Parigi e oggi, forse, a Londra.
Le multinazionali che aprono sedi in Polonia sono tante. La maggior parte è arrivata dopo il 2009, provocando anche il rientro in patria di molti polacchi. Il fenomeno continua: Whirlpool chiuderà la sua sede ad Amiens, in Francia, per trasferirla a Wrocław. La Fiat aveva già portato in Polonia la produzione della nuova 500 e quest’anno ha trasferito anche la costruzione della Panda. La Nestlè porterà la produzione dei wafer “Blue Riband” dalla Gran Bretagna alla Polonia anche a causa della Brexit. Ma non è detto che l’uscita del Regno Unito dall’Ue per i polacchi sia un affare. I finanziamenti britannici hanno i giorni contati, o meglio, sono assicurati fino al 2020.
L’Unione Europea ha rivoluzionato la Polonia. I fondi sono stati usati magistralmente. Starbucks, Zara, Subway stanno diffondendo l’odore dei soldi, ma se nel 2020 i finanziamenti dovessero diminuire, anche le multinazionali potrebbero decidere di traslocare. Tutto sta nel comportamento non economico, bensì politico del governo, che sta conoscendo una pericolosa virata nazionalista e antieuropeista.
Dopo l’elezione del 2015, al governo è arrivato il PiS, Diritto e Giustizia. Il partito dei due gemelli Kaczyński propone un programma di nazionalizzazioni, sicurezza pubblica e secolarizzazione. Euroscettico e atlantista, fra le sue proposte c’è l’aumento del costo del lavoro e delle tasse per le imprese straniere. Così come è già successo in Ungheria, Varsavia potrebbe essere a un bivio.
Foto: Micòl Flammini