Siamo nella prima metà dell’Ottocento e l’Europa è attraversata da una nuova febbre. A scatenarla è stato il figlio di un umile tessitore che, fattosi teologo e letterato, ha saputo porre le basi di un nuovo concetto filosofico e politico: il nazionalismo. La lezione di Johann Gottfried Herder, legando insieme i concetti di lingua e nazione, ha gettato le fondamenta di un nuovo ordine europeo. Herder individuava nella letteratura la via per riscoprire il “genio” nazionale che, diceva il filosofo, si conserva nel popolo in cui – immutato e protetto da secoli di analfabetismo e ignoranza – sopravvive la cultura autentica. Il popolo, e non le aristocrazie così cosmopolite e tra loro imparentate, custodiva il futuro della nazione. L’insegnamento herderiano è centrale nella costruzione dell’identità nazionale germanica, identità nazionale che diventa requisito necessario alla successiva emancipazione politica e all’unificazione tedesca. Tuttavia il “modello” di Herder ha trovato numerosissimi epigoni e seguaci in Europa.
Il Kantele, alla ricerca della poesia popolare finnica
Uno di questi è stato Elias Lönnrot, anche lui umile figlio di un sarto, nato in un piccolo villaggio finlandese. Studente brillante ma povero, si pagò gli studi in medicina lavorando come precettore. Questo gli offrì la possibilità di incontrare facoltosi intellettuali e aristocratici affascinati dalla lezione herderiana e interessati alla poesia popolare. I letterati finlandesi erano infatti alla ricerca di un’epopea nazionale, specialmente allora che la Finlandia – svedese fin dal Medioevo – era passata alla Russia in base agli accordi di Tilsit del 1807.
L’élite locale, che parlava svedese, era al corrente del movimento intrapreso altrove per costruire una cultura nazionale e, fedele al modello herderiano, riteneva che solo nelle campagne povere potessero trovarsi i resti della cultura più autentica. L’antica lingua finnica, giunta fin lì con remote migrazioni dagli Urali, era ormai conservata in forma dialettale unicamente presso i contadini analfabeti. Elias Lönnrot venne allora incoraggiato (e pagato) per andare alla ricerca di questa antica lingua, dei suoi poemi e canti, della sua tradizione orale. Il risultato di questa ricerca è il Kantele, raccolta di poemi che Lönnrot sostenne di aver trascritto sotto dettatura da un bardo popolare. L’accoglienza è entusiastica, finalmente la lingua finnica aveva una sua tradizione letteraria, dando impulso alla nascita di una Società finnica di letteratura impegnata a promuovere il finnico a lingua civile.
Il Kalevala, l’antichità moderna
Un nuovo, cospicuo, finanziamento consentì a Lönnrot di continuare la sua ricerca, questa volta nella Carelia russa dove la lingua careliana, imparentata con il finnico, si sarebbe conservata “più pura” ovvero “lontana dagli insegnamenti luterani”. Il risultato di questo viaggio è una serie di frammenti che Lönnrot decide di unire, ritenendoli parte di un’unica epopea. Nasce così il Kalevala (terra dell’eroe Kaleva) che conta più di 12 mila versi poi arricchiti fino a 20 mila. Il Kalevala diventa l’elemento più prestigioso del patrimonio nazionale e non sorge alcun sospetto – come invece altrove – sull’effettiva antichità dei versi raccolti. Tuttavia l’opera di Lönnrot è un elaborato moderno che, partendo da frammenti della tradizione orale, costruisce un’epopea altrimenti inesistente e di cui non c’era traccia in precedenza. I filologi hanno riscontrato la presenza di alcuni cicli epici antichi all’interno del Kalevala ma cuciti tra loro, tramite inserzioni dell’autore, al fine di creare un’opera moderna che rispondesse ai canoni e alle sensibilità moderne. L’importanza del Kalevala nell’identità nazionale finlandese è tale da non permettere che l’antichità dell’opera possa essere messa in discussione. Se infatti la lingua finnica è stata riconosciuta come ufficiale già nel 1863, l’arte e la pittura finlandesi hanno dipeso fortemente dalle atmosfere del Kalevala che è così diventato simbolo e riassunto di un’intera cultura nazionale al punto che il 28 febbraio, giorno della sua pubblicazione, è festa nazionale in Finlandia.
Il Kalevipoeg estone
La nazione sorella della Finlandia, l’Estonia, possiede un’epopea il cui stesso titolo richiama il modello: Kalevipoeg, il figlio di Kalev, è la prima opera in lingua estone, pubblicata nel 1861 da Friedrich Reinhold Kreutzwald, umile figlio di servi della gleba di origine tedesca. A quell’epoca il paese si trovava sotto la dominazione russa ma erano sempre i baroni tedeschi a detenere il potere economico, sociale e culturale. Gli intellettuali estoni di lingua tedesca sono tra i primi a recepire la lezione di Herder e, stimolati dal modello finlandese, cercano anche loro di trovare qualcosa di “antico” che legittimi la vetustà della nazione estone e – quindi – il suo diritto di autodeterminarsi politicamente.
Kreutzwald, come Herder e Lönnrot, compie studi di medicina e con i suoi colleghi, Nocks e Faehlmann, fonda la Gelehrte Estnische Gesellschaft (Società delle lettere estoni) in cui, fin dal nome, si evince come gli affiliati parlassero tedesco. Non è infatti, questo primo nazionalismo ottocentesco, fondato sul concetto di etnia, di appartenenza etnica, ma di cultura. E l’individuazione di una cultura estone, che potesse fungere da viatico per l’autodeterminazione politica, interessava le élites tedesche più degli estoni stessi, confinati spesso al rango di contadini analfabeti. Sotto la spinta del Kalevala, giunto in Estonia nella traduzione tedesca già nel 1857, Kreutzwald si fece carico dell’impresa: dare alla lingua estone una propria epopea. Il risultato sono 19 mila versi che testimoniano il talento poetico del suo autore, poiché rarissimi sono i versi che possono in qualche modo ascriversi a fonti popolari autentiche.
Il risveglio nazionale che segue la pubblicazione del Kalevipoeg porta a traduzioni, pubblicazioni, festival in lingua estone e anima il dibattito attorno all’ortografia di una lingua che – fatta eccezione per la traduzione di una Bibbia nel 1739 – non era mai stata scritta prima. Il Kalevipoeg diventa così l’emblema della libertà nazionale e viene associato alla resistenza nei confronti delle potenze che, da sempre, hanno controllato l’Estonia spesso tramite brutali processi di assimilazione culturale, vale a dire la Germania e la Russia.
Modernità e passato
Finalmente, grazie al Kalevipoeg (Il figlio di Kaleva, in italiano) anche gli estoni potevano vantare radici culturali remote e unirsi alle altre nazioni che, sulla scorta di epiche anticate, ma assai moderne, rivendicavano un proprio destino nel mondo. Il destino degli estoni venne presto messo alla prova quando, tra il 1918 e 1920, il paese dovette difendersi dalla doppia invasione tedesca e sovietica.
Il 23 giugno del 1919 l’esercito baltico sconfisse i due nemici, guadagnandosi l’indipendenza. Sul campo di battaglia echeggiavano i versi del Kalevipoeg unendo così il sangue della battaglia a quello dell’eroe mitico. Da allora il 23 giugno è il Võidupüha, il giorno della Vittoria, ricorrenza che gli estoni hanno potuto tornare a festeggiare solo dal 1992, al termine della cattività sovietica. Ogni anno una parata cerimoniale viene organizzata dalle Giovani Aquile, il corpo che raccoglie i ragazzi e le ragazze della Eesti Kaitseliit, la Lega per la Difesa estone, organizzazione paramilitare che ha il compito di difendere l’indipendenza del paese. Organizzazione che, negli ultimi anni, ha visto aumentare i propri iscritti a causa del timore di un’invasione russa similmente a quanto avvenuto in Crimea. Un segno di come, ancora oggi, sia necessario per gli estoni difendere un patrimonio culturale e una libertà nazionale che trovano, nel Kalevipoeg, origine e fondamento, a testimonianza delle finalità assolutamente moderne di un’opera che antica non è, ma non per questo cessa di alimentare il presente e il futuro degli estoni.