di Matteo De Simone
La nuova costituzione ungherese, votata dall’Assemblea Nazionale il 18 aprile scorso e firmata il 25 dello stesso mese dal presidente della Repubblica Pál Schmitt, è – con ogni probabilità – la prima costituzione al mondo scritta su di un iPad. Non sembrano però esserci molti altri elementi di modernità in un testo che, a partire dal suo lungo e discusso preambolo, sembra rifarsi ad un’arcaica idea di Stato, impregnata di un forte conservatorismo fiscale e sociale. La nuova costituzione ha sollevato forti critiche da parte di numerosi osservatori, che la interpretano come conferma di un’involuzione autoritaria che l’Ungheria sembrerebbe aver imboccato a partire dalla vittoria elettorale nel 2010 del partito neoconservatore Fidesz guidato da Viktor Orbán. L’adozione della nuova legge fondamentale, infatti, avviene proprio all’indomani della controversa riforma dei media, che ha visto l’intervento diretto dell’Unione europea a tutela della libertà di stampa.
Già prima che il testo fosse presentato, la nuova costituzione suscitava forti dubbi sulla sua legittimità. Un primo giudizio sul processo costituente è stato formulato a marzo dalla Commissione di Venezia, interpellata dal governo ungherese con tre quesiti specifici: l’opportunità dell’incorporare nella nuova costituzione la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; i soggetti legittimati a sollevare questioni di legittimità costituzionale a priori; l’eventualità di escludere il ricorso al giudizio di costituzionalità ex post per actio popularis (previsto dal vecchio testo) a vantaggio del procedimento incidenter. La Commissione, adita dalle autorità magiare senza nemmeno presentare una versione del testo, non ha potuto che dare il proprio parere “a scatola chiusa”. Ciò non ha impedito però che si esprimesse in maniera critica sui lavori preparatori della costituzione, giudicati scarsamente trasparenti e dai tempi talmente serrati da non consentire un sufficiente dibattito pubblico. Ha giudicato inoltre preoccupante l’esclusione delle forze di opposizione, dopo che queste ultime hanno ritirato i propri rappresentanti dalla commissione ad hoc in segno di protesta contro le forti limitazioni imposte dalla maggioranza alle competenze della corte costituzionale.
Il governo di Budapest si è inoltre rifiutato di sottoporre a referendum il testo approvato dal parlamento, preferendo un’insolita consultazione popolare in forma di “questionario” spedito a ogni cittadino ungherese prima che fosse stata resa nota la bozza della costituzione, dove si chiedeva di rispondere, anche in questo caso a “scatola chiusa”, a dodici domande dal contenuto assai generico quale “Deve la nuova costituzione assumersi la responsabilità per le generazioni future?”. Il governo ha ritenuto le poche risposte pervenute (circa l’11% dell’elettorato) una sufficiente legittimazione popolare per la nuova legge fondamentale, sottolineando come questa fosse la prima costituzione adottata in Ungheria da un parlamento democraticamente eletto. Se da un lato ciò è innegabile, dall’altro è da ricordare che la costituzione attualmente in vigore, adottata nel 1949 e ampiamente emendata dopo il 1989, aveva ormai raggiunto, anche grazie alle numerose sentenze interpretative dell’attivissima corte costituzionale, una vasta legittimità ed è ritenuta pienamente conforme agli standard di uno stato liberaldemocratico avanzato degno di far parte dell’Ue. Il testo approvato lo scorso aprile, invece, non può certo definirsi pluralista: avvalendosi della relativa flessibilità della costituzione, modificabile con una semplice decisione del parlamento con maggioranza dei 2/3 (formula mantenuta anche nel nuovo testo), il partito di Orbán, forte della schiacciante maggioranza all’Assemblea Nazionale, ha potuto imporre la “propria” costituzione, prescindendo da qualsiasi legittimazione bipartisan e dalla ricerca di consenso attorno ad un testo che potesse essere condiviso da più forze politiche. La nuova legge fondamentale, infatti, è stata approvata con i soli voti favorevoli di Fidesz, 262 contro i 44 del partito di estrema destra Jobbik, mentre i socialisti e i verdi-liberali hanno boicottato la votazione.
Si tratta quindi di una costituzione “politicizzata” anziché “politica”, figlia di una cultura costituzionale incapace di separare in maniera netta il dibattito politico quotidiano dal processo costituente inteso come la più alta forma di strutturazione dei processi democratici, che deve necessariamente perseguire la più ampia legittimazione e capacità inclusiva. Come ha dichiarato Lázló Sólyom, già Presidente della Corte Costituzionale e Presidente della Repubblica, “il processo costituente ha perso la propria dignità, discendendo al livello della comune bagarre politica”. La stessa Commissione di Venezia, nell’opinione sul nuovo testo rilasciata a giugno (quindi a fatto compiuto), prende atto che le proprie raccomandazioni sono state prese in considerazione solo in parte e ribadisce le critiche mosse al processo costituente nell’opinione di marzo.
Avendo seguito in questi mesi il processo costituzionale ungherese, sono parzialmente d’accordo con l’autore dell’articolo. E’ sicuramente vero che 1) sarebbe stato più opportuno e politicamente intelligente da parte della Fidesz fare uno sforzo per coinvolgere l’opposizione di sinistra; 2) è criticabile la forte limitazione dei poteri della corte costituzionale. Premesso ciò, l’argomentazione degli oppositori del nuovo testo presenta numerose debolezze e contraddizioni. Mi limito ad indicarne alcune: 1) la maggioranza parlamentare è costituente anche senza i voti dell’opposizione, poichè raggiunge i 2/3. Non si può parlare di involuzione autoritaria, un’accusa molto pesante non sostenuta da elementi di fatto; 2) non è necessario sottoporre il testo a referendum. Se quindi è vero che la consultazione cui ha partecipato 1,1 milioni di persone NON è rappresentativa, non è corretto accusare il governo di non aver sottoposto il testo alla consultazione popolare; 3) le critiche di sostanza, mai esplicitate, sono piuttosto pretestuose: la costituzione viene bollata come “conservatrice” perchè si richiama nel preambolo all’importanza della tradizione cristiana nella storia ungherese (nulla di più nulla di meno), afferma il diritto alla vita (senza per questo minare la legislazione in materia di aborto, una delle più liberali d’Europa – tanto che l’Ungheria detiene il record europeo di aborti su nascite); parla di diritti e DOVERI dei cittadini – incluso quello di contribuire con il proprio lavoro al benessere collettivo – una novità politica che può non piacere ma andrebbe discussa con serenità tenendo conto del contesto di estremo disagio sociale ed economico in cui si trova l’Ungheria. Questa costituzione e questo governo ungherese affermano una cosa con cui l’UE non vuole confrontarsi: il modello economico e culturale liberale dominante dagli anni 60-70 è morto. Può non piacere ma credo sia un dato di fatto, indipendentemente dalla Fidesz e da Orban. Il punto è: con cosa possiamo sostituirlo per salvaguardare le conquiste democratiche dell’ultimo secolo?
Caro Stefano, grazie del tuo commento. Provo a rispondere – ahimè in ritardo – alle tue critiche. 1)Non ritengo si tratti di un'”involuzione autoritaria”, in incipit ho riportato l’opinione di molti osservatori (in primis la stampa tedesca) ma non lo condivido. Come puoi leggere infatti nell’ultima – quarta – parte del contributo (è diviso in 4 parti, è molto lungo) ribadisco, sulla scorta di Solyom, che sebbene ricca di problematiche non rappresenta una minaccia per la democrazia ungherese. 2) La consultazione di cui parli è avvenuta, se non erro, PRIMA che il testo fosse reso noto, non c’è stata alcuna consultazione sul testo in quanto tale. Questo rispetta certamente la normativa che non richiede un referendum però in una condizione di forte polarizzazione in ambito instituzionale, una legittimazione almeno “dal basso” sarebbe stata auspicabile 3) L’argomentazione sui contenuti della costituzione si sviluppa nelle altre 3 parti. Penso che il carattere conservatore della costituzione sia abbastanza esplicito, anche se non penso che Fidesz intenda soppiantare il modello liberale (in senso economico). Quello che vedo è una politica un po’ schizofrenica dove a misure di forte tassazione (che gli sono costate accuse dall’economist di avere politiche mistificatorie di tipo pseudo-socialista) seguono tagli alla spesa pubblica, liberalizzazione del mercato del lavoro, flat tax e altre amenità neo-liberiste. Per il resto non mi è molto chiaro cosa intendi con “il modello economico e culturale liberale dominante dagli anni 60-70”. Non penso che questa categoria – molto occidentale – possa cazare ai paesi post-socialisti. E ad ogni modo la ricetta di Orban non mi sembra particolarmente attraente.
Un saluto