Lo scorso 18 maggio a Sochi, nel Caucaso settentrionale, Russia e Abkhazia hanno firmato un accordo riguardante l’istituzione di un Centro di Informazione e Coordinamento congiunto tra le rispettive agenzie degli Interni, il quale sarà basato a Sukhumi, capitale de facto della piccola repubblica caucasica.
Tale accordo rappresenta una delle conseguenze del trattato “sull’alleanza e la partnership strategica” firmato da Vladimir Putin e dal collega abkhazo Raul Khadzhimba nel novembre 2014, in seguito al quale cui i due paesi hanno sviluppato i propri legami economici, aumentato la difesa del confine abkhazo-georgiano e creato uno spazio comune di sicurezza. È proprio nello sviluppo di quest’ultimo campo che rientra l’istituzione del nuovo Centro.
Secondo le autorità di Sukhumi, il Centro servirà a coordinare le attività dei servizi segreti di Russia e Abkhazia, al fine di contrastare il crimine organizzato e altri tipi di attività malavitose. Oltre ad analizzare e scambiare informazioni relative alla criminalità, il Centro faciliterà operazioni come l’estradizione di persone da un paese all’altro e il coordinamento delle indagini intergovernative.
Le attività del Centro saranno finanziate grazie ai fondi che Mosca elargisce annualmente a Sukhumi, i quali serviranno anche a provvedere alla sua manutenzione. Il personale sarà composto da venti persone, le quali saranno equamente suddivise per nazionalità (dieci russi e dieci abkhazi). Il direttore e il vicedirettore del Centro saranno nominati direttamente dai rispettivi ministeri degli Interni, e resteranno in carica per tre anni (il primo direttore dovrebbe essere abkhazo). Tutti i membri del Centro, compresi i loro familiari, potranno inoltre dell’immunità diplomatica.
Il nuovo centro divide gli abkhazi
Non tutti in Abkhazia hanno però accolto con favore la decisione di istituire il Centro. Il giorno precedente alla stipula dell’accordo sulla sua istituzione, un gruppo di 15 parlamentari dell’Assemblea Popolare (il parlamento abkhazo, che in totale conta 35 membri) guidato dall’ex ministro degli Interni Raul Lolua, aveva richiesto di posticipare la firma del concordato, evidenziando la presenza di alcuni punti non chiari. Tra le richieste di questi parlamentari vi era anche l’introduzione di una serie di modifiche al testo dell’accordo, promosse a garantire gli interessi nazionali e limitare i poteri del Centro, dando la possibilità allo stesso parlamento di Sukhumi di controllarne le attività.
Queste richieste sono state appoggiate anche da diversi gruppi e movimenti politici dell’opposizione, tra cui Amtsakhara, Ainar, Kyarazaa, il Fronte Popolare Abkhazo e l’Unione dei Giovani e dei Veterani, i quali hanno a loro volta rilasciato dichiarazioni critiche riguardo all’apertura del Centro. L’opposizione si è lamentata, tra le altre cose, del controllo economico che Mosca avrà sul Centro, dell’immunità parlamentare dei suoi membri e del fatto che esso andrà a limitare notevolmente l’indipendenza del Ministero degli Interni abkhazo, che rischierebbe di perdere del tutto la propria autonomia. Un’altra critica comune ha riguardato un passaggio dell’accordo – successivamente rimosso – che autorizzava il Centro a svolgere funzioni di tipo operativo-investigativo sul suolo abkhazo, andando quindi a mettere ulteriormente in discussione l’indipendenza delle autorità locali.
Alla fine, nonostante le numerose critiche, il 22 maggio il parlamento abkhazo è riuscito ad adottare una risoluzione a sostegno dell’apertura del Centro. Secondo quanto riportato nel testo del documento, l’istituzione del nuovo Centro sarebbe in linea sia con quanto stabilito dalla costituzione locale sia con lo stesso trattato “sull’alleanza e la partnership strategica” firmato con Mosca nel 2014. Nella stessa risoluzione è stato comunque dichiarato che il Centro non sarà autorizzato a condurre operazioni investigative, al fine di rassicurare l’opposizione extraparlamentare.
Nel frattempo è arrivata puntuale la condanna di Tbilisi, secondo cui l’apertura del Centro rappresenterebbe l’ennesima prova del processo di annessione in corso in Abkhazia, nonché della volontà di Mosca di “minare la politica di pace promossa dal governo georgiano e supportata dalla comunità internazionale”.