Dal 1965 al 1989 l’unico e incontrastato padrone della Romania fu un ex calzolaio senza studi, figlio di due umili contadini; mentre si apprestava a morire per fucilazione nel cortile di una caserma, egli cantava orgogliosamente l’Internazionale. Nicolae Ceauşescu fu l’ultimo dittatore stalinista europeo, e la sua morte è l’emblema di quel 1989 che di fatto segnò la fine del comunismo. EaST Journal inizia oggi un racconto in puntate della rivoluzione romena, cercando di caratterizzarne le origini, gli effetti, i protagonisti.
Il disastro economico
Alla fine degli anni ’60, specialmente dopo la condanna dell’invasione sovietica di Praga, Ceauşescu si accreditò agli occhi occidentali come interlocutore credibile; attraverso il suo vero o presunto anti-sovietismo il Conducător sperava di spingere i paesi europei e, soprattutto, gli USA, a fare affari con lui: strategia in un primo momento vincente. Nel 68’ De Gaulle visitò la Romania, dove siglò importanti accordi commerciali: la Renault avrebbe infatti fornito i materiali per costruire le prime Dacia. Dopo la visita di Nixon nel 1969, nel 1972 la Romania entrò nella Banca Mondiale e nel Fondo Monetario Internazionale. Sembrava potesse aprirsi una stagione di moderato benessere.
La realtà era però diversa. Il progetto economico di Ceauşescu era chiaro: i soldi concessi dagli occidentali dovevano essere destinati esclusivamente allo sviluppo dell’industria pesante, specialmente automobilistica e petrolchimica. L’allora primo ministro Maurer cercò di dissuaderlo. L’economia romena, a suo dire, doveva innanzitutto differenziarsi; bisognava poi dare respiro ad un’agricoltura oppressa dalle strettissime maglie della collettivizzazione e, soprattutto, rallentare il processo di industrializzazione. La disponibilità di materie prime non era infatti tale da poter sorreggere gli stabilimenti in costruzione.
Maurer fu rimosso dalla Presidenza del Consiglio, ma le sue previsioni si rivelarono corrette. Il petrolio romeno non bastò ad alimentare le immense raffinerie costruite negli anni precedenti, e Ceauşescu fu costretto ad importarlo dall’estero. Le crisi petrolifere degli anni ’70 e l’aumento del prezzo del greggio furono un colpo mortale per l’economia romena. L’industria chimica non riusciva a produrre concimi adeguati, che quindi venivano importati. Nella seconda metà degli anni ’70 la Romania si indebitò enormemente con il FMI e con le banche occidentali per tenere in vita il suo enorme complesso industriale, che tuttavia realizzava prodotti qualitativamente scarsi, impossibili da esportare se non a prezzi irrisori.
Nel 1982 venne constatata l’impossibilità di restituire i soldi al FMI. Fu in quel momento che il Conducător decise di estinguere completamente il debito estero romeno, che secondo lui privava il paese della sua sovranità politica. Iniziò il periodo più buio della storia romena. Per pagare il debito, venne avviata l’esportazione in massa di generi alimentari ed energia; quasi tutto il cibo prodotto in Romania veniva destinato alle esportazioni, e solo un’infima parte veniva al consumo interno. Già all’epoca, la Romania era uno dei principali produttori in Europa di carne di maiale ma, a parte le zampe, questa veniva interamente esportata. Il governo stabilì le razioni dei principali alimenti spettanti a ogni cittadino: per il pane, non più di 350 g al giorno; per il latte, non più di 1 litro al mese. Trovare della carne nei mercati divenne un’impresa ardua; i più astuti riuscivano ad accaparrarsi qualcosa al mercato nero, ma la penuria di cibo fu una piaga che caratterizzò tutto il decennio. Nei mesi invernali inoltre i riscaldamenti delle case e degli uffici pubblici vennero limitati ad una soglia di sopravvivenza.
La Romania pagò l’ultima rata del suo debito all’inizio del 1989, qualche mese prima della rivoluzione; difficile dire cosa sarebbe successo se Ceauşescu non fosse stato ucciso. Restano la fame e la sofferenza dei romeni per tutti gli anni ’80; una sofferenza nata da politiche economiche scellerate, ma perfettamente coerenti con il loro ideatore, il fu calzolaio che morì cantando l’Internazionale.
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