Ed anche ‘sto anno Eurovision ce lo siamo levato dai… direbbero coloro i quali non hanno mai apprezzato, sempre che ne fossero a conoscenza, questo festival della canzone europea dai sapori nettamente trash. Anche quest’anno un insieme di luci ed ombre che però, stando ai dati, continuano a farne uno degli eventi più seguiti al mondo in termini di spettatori.
And the winner is…. Portugal!
Il nostro Francesco Gabbani con il suo Occidentali’s karma vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo non ce l’ha fatta. Era dato come favorito, ed invece è arrivato sesto, scontando forse pronostici troppo positivi. Il premio della stampa non può certamente bastare a consolare tutti i suoi sostenitori che, al pari delle partite dei mondiali, si sono scoperti in un sol colpo strenui tifosi del verde, bianco e rosso.
Vince il Portogallo con una cantata, Amar pelos dois, che, a parere di chi scrive, è un misto tra una ninna nanna ed una lagna ma che stando sia alle giurie sia al voto popolare era di gran lunga la migliore. La scimmia nuda non balla più.
Non è bello, ma piace
Capire esattamente il numero degli spettatori di Eurovision Song Contest non è cosa da poco. Wikipedia, fonte primaria per noi tuttologi del web, come direbbe Gabbani, parla dell’evento non sportivo più seguito in tutto il mondo. Più di 600 milioni di telespettatori: un tripudio.
Andando a guardare poi i dati di ascolto dei singoli paesi notiamo paesi in cui lo share potrebbe definirsi “bulgaro”, con picchi del 95% come nella piccola Islanda. Paesi in cui, anche senza il proprio cantante in gara, si raggiungono picchi del 40%, come per la Russia, e paesi nei quali invece l’appeal dell’Eurovision è ancora limitato come per l’Italia dove, a fronte della programmazione in prima serata Rai 1, si tocca appena il 20% di share. Nonostante il risultato sia nettamente il maggiore degli ultimi anni, il dato è uno tra i più bassi nei paesi partecipanti.
Evitando citazioni forbite verrebbe da dire che non è bello, ma comunque piace.
Ma la canzone è politica?
Il regolamento è chiaro: la politica non deve entrare nell’Eurovision. Peccato che non sia così: l’anno scorso la canzone ucraina vincitrice, cantata da Jamala, era chiaramente una forte critica all’integrazione russa della Crimea e quest’anno l’estromissione della cantate russa Samoylova, al di fuori delle motivazioni giuridiche, ha avuto molto il sapore di atto politico.
Ma se quindi ci dicessimo che la politica, i pregiudizi, le rivalità sono lecite? Perché tanto è già così. Ecco che il blocco dell’est vota compatto per suoi membri, che la Moldova vota per la Romania. Che la Spagna ha votato per il Portogallo e viceversa. Che il Belgio e l’Olanda si sono reciprocamente sostenute. Ecco spiegate le critiche, che hanno assunto forme di farsa, nei confronti di San Marino che con la sua giuria ci ha dato tre miseri voti: una motivazione per invaderla, per alcuni.
Un evento per unire
A dir la verità la ragion d’esser di Eurovision, se si guarda lo spirito di chi l’ha inventato, stava nel creare un evento che permettesse di unire i popoli europei. Fu proprio per questo che nel 1956 l’UER (Unione Europea della Radiodiffusione) decise di prendere spunto dal Festival di Sanremo e organizzare una competizione canora che riunisse artisti di vari paesi. La stessa logica, 9 anni più tardi, diede vita a Giochi Senza Frontiere, addirittura per volere del presidente De Gaulle.
Ad oggi forse poco resta di quello spirito, ma al di fuori di coreografie kitsch, artisti improbabili, musiche da far rabbrividire, l’evento non è il peggio che il nostro continente abbia mai visto. E se l’ultimo Italiano a vincere è stato Toto Cutugno nel 1990 con Insieme: 1992, dove si celebrava l’Europa unita, un motivo ci sarà.