Con il formarsi delle coalizioni in vista delle elezioni anticipate dell’11 giugno, il quadro politico del Kosovo sembra diviso principalmente tra “l’ala di guerra” e “la coalizione di pace“, riproponendo una divisione che ha le sue radici negli anni ’90.
L’ala di guerra
La prima definizione viene usata per descrivere l’alleanza tra il Partito democratico del Kosovo (PDK) di Kadri Veseli, Iniziativa per il Kosovo (NISMA), guidata da Fatmir Limaj e l’Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK), partito di Ramush Haradinaj. Il riferimento alla guerra è legato al fatto che tutti e tre partiti sono guidati da ex-comandanti dell’UÇK, l’Esercito di liberazione del Kosovo, protagonista della guerra del 1998-99.
Il candidato premier della coalizione sarà lo stesso Haradinaj, liberato da poco da un tribunale francese dove era trattenuto per un mandato di cattura internazionale emesso dalla Serbia. Haradinaj rappresenta la linea dura della politica kosovara: ultimamente ha dichiarato che non sosterrà l’attuale accordo di demarcazione del confine col Montenegro, ne’ la creazione dell’Associazione dei Comuni a maggioranza serba, punto cruciale dell’accordo tra Kosovo e Serbia all’interno dei colloqui facilitati dall’Unione europea.
La coalizione di pace
Dall’altra parte, “la coalizione di pace” è costituita dalla Lega democratica del Kosovo (LDK), l’Alleanza per un Nuovo Kosovo (AKR), guidata dal milionario Behgjet Pacolli, e l’Alternativa, di recente formazione. Il candidato premier della coalizione è Avdullah Hoti, attuale Ministro delle Finanze, mentre l’ex primo ministro Isa Mustafa ha deciso di non partecipare alle elezioni. Il riferimento alla pace si deve alle origini della LDK, il partito fondato da Ibrahim Rugova, che per tutti gli anni ’90 ha portato avanti una linea non-violenta contro il regime di Slobodan Milošević, criticando le azioni dell’UÇK.
A questa coalizione non si è unito il movimento Vetëvendosje, che ha scelto di correre da solo e che propone come candidato primo ministro il suo leader, Albin Kurti. Parteciperà alle elezioni anche il partito che rappresenta la popolazione serba, la Lista serba, che ha consegnato alla Commissione elettorale centrale del Kosovo i nomi dei suoi candidati.
Le incognite
Le elezioni dell’11 giugno arrivano dopo che a metà maggio il parlamento del Kosovo ha votato la sfiducia al governo, segnando la fine dell’alleanza tra il PDK e la LDK. Il tema cruciale che ha portato alla rottura è stata la mancata ratifica dell’accordo per la demarcazione dei confini con il Montenegro, ma ha pesato anche l’istituzione del Tribunale Speciale per i crimini dell’UÇK, che a breve inizierà i procedimenti contro gli ex-combattenti macchiatisi di crimini nella guerra del 1998-99.
Proprio l’esperienza del precedente governo pone dei dubbi sulle nuove coalizioni. A sorprendere è soprattutto l’avvicinamento tra il PDK, che era al governo, e i partiti di Limaj e Haradinaj, fortemente all’opposizione. Per quanto questa nuova coalizione sembra essere la favorita per ottenere la maggioranza, la storica rivalità tra due personalità forti come Haradinaj e Hashim Thaçi, oggi presidente della Repubblica e storico leader del PDK, pone diversi interrogativi sulla capacità di governare insieme e portare avanti le riforme che la comunità internazionale chiede al Kosovo.
Tra queste, la più urgente è proprio l’accordo sui confini con il Montenegro, ritenuta da Bruxelles necessaria per la liberalizzazione dei visti. Il Kosovo è difatti l’unico paese balcanico a non aver ottenuto la liberalizzazione dei visti, con 6 anni di ritardo sugli altri paesi della regione. Una notevole fonte di frustrazione per gli 1,8 milioni di abitanti dell’ex provincia serba, dichiaratasi indipendente nel 2008.