Nella Descriptio Moldaviae (“Descrizione della Moldavia”) lo storico Dimitrie Cantemir passa in rassegna le montagne della sua regione di origine e si sofferma con un certo orgoglio sul monte Ceahlău, al confine tra Moldavia e Transilvania.
“Il monte più alto”, sottolinea, e “non sarebbe meno celebre dell’Olimpo, del Pindo o del Pelia”, se “fosse stato reso noto dai miti antichi”. Da buon conoscitore della cultura antica, Cantemir associa il Ceahlău alle montagne più affascinanti della mitologia greca.
Aggiunge, infine, che sul monte sorge “una statua antichissima […] di un’anziana circondata da venti pecore”: la formazione rocciosa, sostiene, “era probabilmente oggetto di culto pagano”.
Il monte Ceahlău e la leggenda di Dochia
Il paesaggio naturale del monte Ceahlău è costellato da formazioni rocciose dall’aspetto bizzarro e, in alcuni casi, vagamente antropomorfo. Nella cosiddetta Stânca Dochiei (“La roccia di Dochia”), ad esempio, la mitologia popolare ha ravvisato una figura femminile circondata da rocce più piccole chiamate “le pecore di Dochia”.
Baba Dochia è una figura della mitologia popolare. Nelle svariate versioni della leggenda, l’anziana donna, convinta dell’avvenuto inizio della primavera, percorre la montagna con le sue pecore, ma viene colta fatalmente da una nevicata tardiva, rimanendo congelata. Il mito si collega al passaggio rituale dall’inverno alla primavera: Dochia è traccia di un antico culto pagano le cui vestigia si trovano anche nell’usanza romena del mărţişor.
Non sappiamo se Stânca Dochiei sia effettivamente la statua di cui scrive Cantemir, ma essa si inserisce in un sistema di leggende locali destinato ad essere rivalutato nell’Ottocento. Il cronachista settecentesco ha avuto ragione: le favole antiche hanno costruito un mito intorno al Ceahlău, luogo sacro ai Daci.
L’altro volto di Dochia
Con l’affluire delle idee romantiche, infatti, il patrimonio mitologico e folclorico romeno è oggetto di appassionato interesse. Nel 1840 Kogălniceanu, sulla sua rivista Dacia literară, si scaglia contro la moda occidentalizzante, richiedendo ai giovani scrittori temi romeni.
Nella rivista viene riportata una ballata dell’anziano poeta Gheorghe Asachi, Dochia e Traiano. Formatosi tra Iaşi e Roma, Asachi è stato autore di poesie in italiano e in romeno: curiosamente, l’anziano classicista e il giovane romantico si trovarono perfettamente in sintonia nel riesumare un mito che collegava il mondo dacico a una prestigiosa tradizione greco-latina.
Asachi sostiene di essersi recato intorno al 1838 sul Ceahlău e di aver raccolto una variante della leggenda di Dochia. Non abbiamo più a che fare con la vecchia delle fiabe, ma con la giovane figlia di Decebalo, ultimo re dei Daci, insidiata dall’amore travolgente di Traiano, l’imperatore che conquistò la Dacia nel II secolo:
Tra Piatra Detunată
e la cima del Sahastru
vedi una roccia che fu figlia
di un grande sovrano.
Asachi sfrutta il modello classico dell’inseguimento di Apollo e Dafne: il dio Xalmoxis interviene e avviene la metamorfosi.
Allora lei, con voce accorata,
„Zamolxis, mio dio”, urla,
„Ti scongiuro, in nome di mio padre,
ti prego, non abbandonarmi!”
Traiano piange accanto alla statua che, a sua volta, partecipa ai fenomeni naturali, confermando il legame tra Dochia e le forze primigenie („dal suo pianto nasce la pioggia | il tuono dal suo sospiro”).
Il critico Gheorghe Călinescu sostiene che Dochia è uno dei miti nazionali, rappresentando l’origine stessa del popolo romeno e la fusione di elemento dacico e latino. Un messaggio di grandissima potenza identitaria: la leggenda individuata da Asachi ha continuato ad attraversare l’Ottocento, affascinando lo stesso Mihai Eminescu, il più grande poeta in lingua romena.