Addio a Nebojša Bato Tomašević: una vita, tre Jugoslavie

E’ scomparso a Londra sabato 15 aprile Nebojša Bato Tomašević. Aveva 88 anni. La sua vita, tormentata o avventurosa a seconda dei punti di vista, è una appassionata testimonianza della storia della ex Jugoslavia. Anzi, di tre Jugoslavie, dato che Tomašević attraversa e fora, come una specie di macchina del tempo, il diaframma di periodi storici diversissimi. Corrispondono appunto alle Jugoslavie che con tanta rapidità si sono succedute nel Novecento: la prima, quella monarchica distrutta con facilità dall’attacco italo-tedesco del 1941; la seconda, quella socialista del Maresciallo Tito; la terza, quella rimasta dopo la disgregazione violenta degli anni Novanta e che raggruppò (per poco) Serbia e Montenegro.

Tomašević, fortunatamente, ha lasciato una dettagliata traccia della propria affascinante biografia pubblicando un volume (Montenegro, ed. LINT, 2009) in cui lo scenario iniziale è ambientato nel Regno di Jugoslavia, già segnato dalle incomprensioni tra i popoli che pure lo costituivano. Non è un caso che l’autobiografia parta con l’assassinio del re Alessandro nel 1934 effettuato a Marsiglia per mano ustasa, cioè dei nazionalisti croati.

Il padre di Bato, montenegrino, va nel Kosovo ormai liberato dai beg, i grandi proprietari turchi, ed entra nella polizia del costituendo Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Lì tocca con mano l’ostilità esistente tra serbi ed albanesi e percepisce anche la fragilità della Jugoslavia monarchica, dove i partiti erano su base etnica (a parte i comunisti, al bando e perseguitati). Inizia l’occupazione italiana, che all’inizio venne sperata “morbida” dato che la regina Elena era montenegrina pure lei. Non sarà così, come bene sappiamo dalla storiografia.

Si sviluppa il movimento partigiano di cui diverrà presto una leader Stana, la sorella di Bato: anzi, la foto di Stana, presa da un reporter britannico a Dvar nel 1944 in occasione del congresso della gioventù comunista, diverrà una famosa icona distribuita in tutti i territori dell’Europa occupata (un breve filmato è su Youtube).

Con il crollo dell’8 settembre si fa più dura la repressione tedesca, accompagnata dalla violenza dei cetnici dalle lunghe barbe. Ma si avvicina anche l’offensiva partigiana ed alleata. Bato entra nella nascente polizia politica, l’Ozna, e va nella Belgrado del dopoguerra dove negli anni sessanta entra al ministero degli Esteri ed inizia a studiare giornalismo e scienze diplomatiche.

Impara l’inglese – una lingua allora sospettosamente “borghese” – e vince una borsa di studio in Gran Bretagna. Qui l’autore trova la futura moglie ma dovrà lasciare la diplomazia: così stabilisce la legge in caso di matrimonio con stranieri. Comunque a Belgrado il mondo dei nascenti mass media li assorbe entrambi: lei come annunciatrice di lingua inglese, lui all’istituto che cura le pubblicazioni in lingua straniera delle varie Repubbliche. Il passo successivo è quello di lanciare una immagine internazionale nuova del paese e qui iniziano i confronti (e gli scontri) con la parte più conservatrice dell’establishment.

1980, muore Tito e il paese si avvia sulla strada della disintegrazione. Una disintegrazione che ha nel controllo dei media lo strumento della manipolazione dell’opinione pubblica. Una manipolazione facile da realizzare, dato che non esiste una televisione panjugoslava: ci sono otto canali gestiti dalle sei Repubbliche e dalle due regioni autonome. Il premier Ante Marković promuove l’idea di un canale federale finalmente obiettivo e unitario: si chiamerà Yutel. Tomašević ne sarà il direttore generale e le forze armate forniranno le attrezzature.

Troppo tardi: l’esercito sabota l’iniziativa, per trasmettere occorre cercare l’appoggio delle varie televisioni repubblicane, in attesa di un canale satellitare. A fine ottobre 1990 da Sarajevo parte il primo telegiornale di Yutel, ma Croazia e Serbia creano ostacoli, pur accettando di trasmettere qualche mese dopo. Iniziano – per Tomašević – le minacce dei nazionalisti e le persecuzioni giudiziarie.

Ormai è la guerra: l’unica è fuggire in Italia, mentre i ripetitori vengono presi a cannonate e Yutel – l’unica televisione veramente jugoslava – nel maggio 1992 chiude: è durata solo un anno e mezzo. Tomašević ritorna nella Belgrado degli anni Novanta, impoverita ed isolata. E’ la Belgrado che subisce l’attacco aereo della NATO risuscitando in Bato i tristi sentimenti del 1941, l’anno dei bombardamenti tedeschi.

Tomašević ha vissuto questi ultimi anni con la moglie Madge a Exeter, all’estremo sud della Gran Bretagna, partecipando alla vita del suo paese che pure “non c’è più” (come dimostra la foto sulla pagina Facebook dell’incontro con l’ambasciatore montenegrino avvenuto in gennaio). Di certo è stato, fino all’ultimo, un testimone generoso di un paese perfino troppo ricco di storia ed eventi: addio Bato.

Chi è Vittorio Filippi

Sociologo, docente Università Ca’Foscari e Università di Verona, si occupa di ricerca sociale, soprattutto nel campo della famiglia, della demografia, dei consumi. Collabora nel campo delle ricerche territoriali con la SWG di Trieste, è consulente di Unindustria Treviso e di Confcommercio. Insegna sociologia all’Università di Venezia e di Verona ed all’ISRE di Mestre. E’ autore di pubblicazioni e saggi sulla sociologia della famiglia e dei consumi.

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