Tra dipinto storico e Art Nouveau: l’Epopea Slava di Mucha

Le sue donne dalla bellezza eterea circondate da motivi naturalistici sono inconfondibili, ma Alfons Maria Mucha è riuscito ad andare oltre il suo essere icona dell’Art Nouveau, movimento di cui è stato uno dei fondatori e principali esponenti. Artista di origini ceche, nato a Ivancǐce in Moravia nel 1860, ha iniziato la sua carriera a Parigi come illustratore e autore di litografie per cartelloni pubblicitari, raggiungendo la notorietà grazie alle locandine teatrali degli spettacoli dell’attrice Sarah Bernhardt. L’ultima metà della sua vita l’ha invece dedicata alla realizzazione di un’opera monumentale con intento didascalico-celebrativo, ovvero la serie di 20 dipinti conosciuta con il nome di Slovanská epopej (Epopea Slava).

Tele di grandi dimensioni, dipinte tra il 1911 e il 1926, ripercorrono momenti chiave della storia del popolo ceco e degli altri popoli slavi in uno stile unico che unisce la tradizione del dipinto storico a nuove atmosfere onirico-simboliche. Suddivise per temi religiosi, culturali ed allegorici le rappresentazioni coprono un periodo che va dal III al XX secolo.

Già nel 1892 Mucha si cimenta nella rappresentazione di temi storici, illustrando con xilografie Scene ed episodi della storia della Germania dello storico francese Charles Seignobos. L’idea per l’Epopea verrà qualche anno dopo, durante i suoi viaggi di ricerca attraverso penisola balcanica e Russia (inclusi i territori della Polonia spartita) per l’allestimento del padiglione della Bosnia-Erzegovina all’esposizione di Parigi del 1900, su commissione del governo austro-ungarico. Nei dieci anni successivi Mucha cercherà un benefattore per finanziare l’ambizioso progetto, trovandolo finalmente nell’uomo d’affari e filantropo americano Charles Richard Crane.

Centrale ancora una volta la figura femminile, stavolta però rappresentata con volti intensi e preoccupati, e in pose cariche di pathos. Tra esse spiccano la madre delle celebrazioni del dio pagano Svantovít, le donne in primo piano che fissano lo spettatore nel primo quadro della serie mentre il loro villaggio brucia in lontananza, le ragazze in abiti tradizionali serbi che guidano la processione che celebra l’incoronazione di Stefan Dušan a Skopje nel 1346 come zar di Serbi e Greci, le contadine russe di fronte alla cattedrale di San Basilio mentre viene letto l’Editto di Emancipazione promulgato dallo zar Alessandro II nel 1861 che pose fine alla servitù della gleba o il sacrificio di Eva, moglie di Nikola Zrinski, durante l’assedio di Szigetvár del 1566 che bloccò l’avanzata ottomana verso Vienna.

Immancabili ovviamente le figure di Jan Hus, di Cirillo e Metodio, di Jan Amos Komenský, del re Přemysl Otakar II di Boemia e dello zar Simeone I di Bulgaria che diede asilo ai sostenitori della liturgia in lingua slava, così come rappresentazioni della battaglia di Gunwald del 1410, delle guerre ussite e dei membri dell’associazione giovanile nazionalista ceca Omladina. La serie si conclude con l’Apoteosi degli slavi, tela in cui Mucha riassume i temi trattati precedentemente e celebra l’inizio di una nuova era per le nazioni slave, con l’ottenimento dell’indipendenza dopo la fine della Prima Guerra Mondiale.

Per volontà dell’artista, l’intera serie fu donata alla città di Praga e presentata al pubblico nel 1928, in occasione del decimo anniversario dell’indipendenza cecoslovacca. Sempre per celebrare un altro evento storico, ovvero i sessant’anni del ripristino delle relazioni diplomatiche tra Giappone e Repubblica Ceca, le venti tele sono temporaneamente esposte tutte assieme in esclusiva mondiale presso il Centro Nazionale di Arte di Tokyo.

Foto: L’Emancipazione dei contadini russi dalla schiavitù (1914), Alfons Mucha

Chi è Francesca La Vigna

Dopo la laurea in Cooperazione e Sviluppo presso La Sapienza di Roma emigra a Berlino nel 2009. Si occupa per anni di progettazione in ambito culturale e di formazione, e scopre il fascino dell'Europa centro-orientale. Da sempre appassionata di arte, si rimette sui libri e nel 2017 ottiene un master in Management della Cultura dall'Università Viadrina di Francoforte (Oder). Per East Journal scrive di argomenti culturali a tutto tondo.

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