25 anni fa a Istanbul il Partizan Belgrado sollevava al cielo la sua prima Eurolega, dopo una stagione incredibile. L’estate del 1991 era stata davvero complicata. Gli sloveni se n’erano andati, e le tensioni nella Kraijna e in Bosnia continuavano ad aumentare.
Il Partizan si qualificò alla Coppa dei Campioni in questo clima geopolitico. Ad allenare un gruppo di giovani talentuosi e promettenti arrivò Željko Obradović, playmaker di riserva della nazionale che rinunciò agli Europei per concentrarsi sulla stagione col Partizan: «Tutti pensavano stessi facendo il più grande errore della mia vita – ricorda Obradović – Lasciai un oro sicuro agli europei per preparare una stagione in una nazione dove la situazione non era delle migliori».
Il campionato poi iniziò azzoppato. Oltre alle squadre slovene si ritirarono quelle croate. I morti erano sempre più numerosi e anche i media mainstream iniziarono ad accorgersi del dramma che si stava consumando. Le immagini che attraverso le TV arrivavano in tutto il mondo erano drammatiche e nessuno era disposto a correre anche il minimo rischio: la FIBA impose alla squadra di Belgrado di giocare le partite casalinghe in un’altra nazione, fuori della Jugoslavia.
Venne scelta Fuenlabrada, una frazione di Madrid che non aveva una squadra nel massimo campionato spagnolo, ma un palazzetto nuovo di zecca, e una posizione geografica congeniale per la manifestazione. Fu un colpo di fulmine con gli abitanti della zona. Le partite del Partizan Fuenlabrada riempivano ogni volta il palazzetto Polideportivo Fernando Martín con i tifosi di casa sempre pronti a incitare quelli che erano diventati i loro ragazzi. Un gruppo di giovani, letteralmente scappati di casa e che giocavano una pallacanestro bellissima da vedere. Anche con Badalona e l’Estudiantes Madrid, le due spagnole del girone, il palazzetto si colorò di bianco e nero. La squadra si qualificò al quarto posto del girone, l’ultimo utile per accedere ai quarti, dove avrebbero affrontato la Virtus Bologna.
La situazione nei Balcani sembrava essersi lievemente calmata e la FIBA concesse al Partizan di tornare a giocare a Belgrado. Nella capitale jugoslava arrivarono anche dei tifosi da Fuenlabrada, che sfidarono le terribili immagini televisive con cui erano raccontati i Balcani e per questo vennero accolti tra gli applausi dai tifosi Grobari. Il Partizan vinse la serie e si qualificò per le Final Four di Istanbul. Battuta Milano in semifinale, i bianconeri sconfissero di un punto la Joventud de Badalona con un tiro allo scadere di Aleksandar Đorđević, laureandosi così campioni d’Europa dopo aver giocato 21 partite su 22 fuori casa.
L’anno successivo finì tutto. I pilastri della squadra, allenatore compreso, andarono a dominare l’Europa nei club ricchi dei paesi stabili, mentre in Jugoslavia la situazione precipitò ulteriormente. Saša Danilović finì a Bologna, Đorđević a Milano e Željko Obradović ad allenare proprio la Joventud de Badalona, con cui vincerà l’Eurolega due anni più tardi.
Ivo Nakić, unico giocatore croato della squadra, finì al Cibona Zagabria. «Fu quello che visse la situazione più difficile, aveva una grande pressione addosso, spesso sembrava assente», ricorderanno alcuni suoi compagni in un documentario girato da Canal+ anni dopo. Non fu l’unico a soffrire però; molti giocatori avevano parenti arruolati o, come Danilović, originario di Sarajevo, direttamente sulla linea del fronte. Da quel giorno nessuna squadra jugoslava è riuscita a vincere il trofeo più importante.
Foto: KK Partizan