In Turchia mancano oramai meno di due settimane al referendum costituzionale del 16 aprile. Un voto che segnerà il futuro politico del presidente Erdogan. Ma saranno settimane decisive anche nel vicino Iran, potente alleato regionale sciita di Ankara, che tra poco più di un mese – il 19 maggio – chiamerà alle urne i suoi cittadini per eleggere il nuovo presidente.
Il leader uscente, Hassan Rohani, ha confermato nelle ultime ore la sua candidatura, dopo aver incassato il benestare dei riformisti che hanno dichiarato ufficialmente il loro sostegno al presidente uscente.
La registrazione dei candidati comincerà martedì 11 aprile e si concluderà entro pochi giorni; la data di scadenza è fissata per domenica 16 aprile. In concomitanza si terranno, in tutto il paese, le elezioni per i consigli cittadini.
L’incontro tra Rohani e Putin
Se sul fronte interno il presidente Rohani si prepara ad affrontare i suoi elettori per conquistarne ancora una volta la fiducia, su quello esterno le sue attenzioni sono rivolte insistentemente verso ovest.
La scorsa settimana il successore di Ahmadinejad ha incontrato, a Mosca, Vladimir Putin. I due leader – alleati con la Turchia nella questione siriana – hanno consolidato la loro partnership economica e geopolitica.
Dall’incontro sono emerse conferme importanti: il rafforzamento delle relazioni strategiche in Siria; l’approvazione dell’utilizzo da parte della Russia delle basi militari iraniane per missioni in Medio Oriente, previo accordo sugli obiettivi; un’intesa di cooperazione sul gas e l’estensione a Teheran della zona di libero commercio dell’Unione economica euroasiatica.
Rohani e Putin hanno ribadito poi la cooperazione con la Turchia. Resta dunque saldo il patto “trilaterale” delineatosi ad Astana durante i negoziati sulla Siria, anche se ciascuna delle potenze in gioco sembra più interessata a salvaguardare egoisticamente i propri interessi cruciali nell’area che a risolvere il conflitto siriano.
Le convergenze tra Mosca e Teheran sono rese possibili dagli sviluppi internazionali degli ultimi anni. Dopo l’accordo sul nucleare con Washington e la revoca delle sanzioni internazionali, l’Iran ha iniziato a collaborare con la Russia su più fronti. Solo per fare un esempio, se in seno all’Opec l’Iran è riuscito a recuperare la sua fetta di produzione petrolifera del 2012 – cioè quella del periodo pre-sanzioni (circa 4 milioni di barili al giorno di produzione) – parte del merito è dovuto proprio al sostegno diplomatico russo.
L’Iran e la riconquista di un ruolo nel mercato internazionale
Con la firma dell’accordo sul nucleare e la riapertura dei mercati al mondo globalizzato, l’Iran vuole rimettere in gioco anche la sua industria del turismo. Teheran punta a ospitare 20 milioni di visitatori all’anno entro il 2025. E sembra aver imboccato la strada giusta. Il settore ha fatto registrare infatti una ripresa nel corso del 2016, grazie anche alla percezione diffusa dell’Iran come di uno dei paesi più sicuri del Medio Oriente.
Per questi motivi, la scorsa settimana, il vice ministro degli esteri iraniano per gli affari consolari, Hassan Qashqavi, ha dichiarato che l’Iran ha revocato l’obbligo del visto preventivo di ingresso per i cittadini di 180 paesi – tra cui l’Italia – che si recano nella Repubblica islamica per turismo. Il visto potrà essere ottenuto direttamente all’arrivo in aeroporto.
Ma a mettere i bastoni tra le ruote alla potenza sciita potrebbero essere gli americani. Le posizioni del neoeletto Donald Trump sono molto lontane rispetto a quelle dell’ex presidente statunitense Barack Obama. Più volte Trump ha dichiarato di voler revisionare gli accordi sottoscritti e l’Iran è incluso nella lista dei sei Paesi messi al “bando” dall’inquilino della Casa Bianca. Nessun accesso, dunque, in territorio statunitense per i cittadini iraniani. E a ciò potrebbero aggiungersi anche nuove sanzioni, al momento allo studio del Congresso.
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