Capita spesso di sentire qualcuno che parla di qualcun altro appiccicandogli l’epiteto di «maestro». Ciò può ovviamente verificarsi in una strabiliante moltitudine di settori.
Tra scrittori, ad esempio, talvolta capita che un autore si rivolga con il termine «maestro» ad un secondo autore (tendenzialmente morto) al quale un po’ si è ispirato o dal quale un po’ scopiazza; quando non si ha niente a che spartirci ma potrebbe rivelarsi utile l’accostamento o per lanciarsi/rilanciarsi. L’accademia prettamente detta lasciamola perdere perché lì sono tutti «maestri» (discepoli e detrattori) vicendevolmente.
Tuttavia esistono figure di spicco all’interno delle singole discipline: evitando come la peste l’epiteto «maestro», riconosciamo loro una meritevole preparazione e non frequenti capacità espositive e divulgative. La paternità di punti di vista talvolta innovativi e qualche dote di ammaliatore che non guasta mai.
Nella slavistica Angelo Maria Ripellino potrebbe essere (anzi viene) definito un «maestro». Dati i parametri di cui sopra, si tratta di faccenda indiscutibilmente vera.
Il web per fortuna straborda di accurate biografie e liste delle opere di Ripellino quindi evitiamo l’ennesimo Bignami al riguardo, ricordando solo che fu eccellente universitario (filologia slava e lingua e letteratura ceca poi russa), puntualissimo corrispondente dalla Cecoslovacchia (ma non solo), poeta e scrittore.
Il motivo per il quale Ripellino è tornato in questi giorni su qualche pagina di giornale è che il ventisei giugno si è conclusa a Praga la Quadriennale*, kermesse di sessanta paesi con stand sui rispettivi teatri, architetture e arti varie. Per la prima volta l’Italia ha partecipato alla sezione «scenografia» e meritevole -per quanto prevedibile ma non scontata- l’idea di dedicare il padiglione proprio alla figura di Ripellino (cito da un pezzo su Repubblica: «senza la collaborazione delle istituzioni italiane.» D’altronde ci si abitua a tutto.)
Ottima occasione per quanti passassero da Celetná e volessero rileggere qualche frase sui muri di questo distinto signore con i baffi che a Praga ha dedicato tutto sé stesso, arrivando a comporre lettere d’amore tra le più profonde e intime della seconda metà del Novecento. Testi nel quale la fascinazione per la cultura boemo/morava e l’enorme preparazione si uniscono con l’acume politico di colui che ben conosce cosa qui è avvenuto e cosa ancora potrebbe accadere di cupo e opprimente nel caso fosse definitivamente sedata la straordinaria natura democratica e ironica della popolazione.
A frasi del genere: «da qualche anno si è appresa alla mia fantasia la nezvaliana metafora che rassomiglia Praga a una cupa nave attaccata da legni corsari, che cannoneggiano le torri di Hradčany da tutte le parti d’Europa […] in un desolato viluppo di fango, sterpaglia e macerie, brulicante di rettili e sozzissimi demoni» si contrappongono infatti esortazioni tipo: «non avrà fine la fascinazione e la vita di Praga. Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti. Ed io forse vi ritornerò. Certo che vi ritornerò. In una bettola di Mala Strana, ombre della mia giovinezza, stappate una bottiglia di Mělník. Tornerò a Praga, al Cabaret Viola, a recitare i miei versi. Vi porterò i miei nipoti, i miei figli, le donne che ho amato. I miei amici, i miei genitori risorti, tutti i miei morti. Praga, non ci daremo per vinti. Fatti forza, resisti.»
Inutile, a corollario, sottolineare quanto la Praga di Ripellino appaia diversa dall’attuale Praga della Quadriennale e tanti altri eventi. Alla sensibilità dei singoli stabilire se sia preferibile la versione sotto ghiaccio (riciclando una efficacissima metafora di Garton Ash) del pre-1989, con il proprio sottobosco intellettuale vivissimo, o quella attuale libera, democratica e parzialmente Disneyland in stile Firenze o Venezia. Poco importa. Poiché l’importante, l’essenziale nel caso nostro, è che qualcuno come Ripellino in zona abbia bazzicato con l’intento preciso di descrivere e spiegare la cultura slava nella fu Europa occidentale rintanata dietro il filo spinato; le odi per le infinite diversità dal quale quel mondo è composto, al netto di chi vedeva (o vede) un unico brodo omogeneo ad estendersi da Vienna alle isole Kuril’skie.
P.s. Non saprei esprimermi riguardo il celebre andante secondo cui al fianco di un grande uomo ci sia sempre una grande donna. Per altro, non ricordo nemmeno se dice esattamente così. Ma anche qui poco importa. Prendiamoci questo post scriptum per sottolineare soltanto che nel caso di Ripellino può esserci una base di verità. Ela Hlochovà Ripellino fu traduttrice, studiosa e premurosa consulente. Questi versi (e non solo) le dedicò il marito:
Dove trovarti, quando avrò desiderio di te, dei tuoi occhi smeraldi,
quando avrò bisogno delle tue parole?
Dio esige l’impossibile,
Dio ci obbliga a morire.
E che sarà di tutto questo garbuglio di affetto,
di questo furore? Sin d’ora promettimi
di cercarmi nello sterminato paesaggio di sterro e di cenere,
sui legni carichi di mercanzie sepolcrali,
in quel teatro spilorcio, in quel vòrtice
e magma di larve ahimé tutte uguali,
fra quei lugubri volti.
Saprai riconoscermi?
Senza dubbio. Ela Hlochovà Ripellino forse sarebbe stata contenta del riconoscimento italiano al lavoro del consorte. Vai a sapere.
Ela Hlochovà Ripellino se n’è andata l’aprile dell’anno scorso all’età di ottantasette anni.
Na shledanou, signora.
è notorio che ormai degli istituti italiani di cultura spesso rimane solo l’insegna…