Le elezioni parlamentari di domenica 2 aprile in Armenia hanno sancito l’apertura del periodo di transizione da un ordinamento semi-presidenziale al parlamentarismo puro. Vincitore, come da previsioni, ne è uscito il Partito Repubblicano del presidente Sargsyan.
I risultati
Il Partito Repubblicano Armeno si è riconfermato prima forza politica del paese, con il 49,21% delle preferenze. I repubblicani del primo ministro uscente Karen Karapetyan, che detengono la maggioranza in parlamento dal 1999, hanno però chiuso appena al di sotto della soglia necessaria (50%) a ricevere il premio di maggioranza studiato per garantire la governabilità.
Le urne – più di 2000 seggi in tutta l’Armenia – hanno aperto alle 8 del mattino. Già nel pomeriggio gli exit poll hanno iniziato a evidenziare un netto vantaggio per il Partito Repubblicano: fin dai primi risultati parziali il portavoce dei repubblicani Eduard Sharmazanov si è infatti detto ottimista riguardo la possibilità di formare un nuovo governo.
La coalizione guidata da Gagik Tsarukian e da Armenia Prospera, principale forza dell’opposizione, non è invece riuscita ad andare oltre al 27,38% dei consensi, nonostante le proiezioni di marzo la indicassero come un’insidiosa rivale, deludendo parte delle aspettative.
Nel nuovo parlamento vi saranno anche rappresentanti della coalizione “Via d’uscita”, guidata da Edmon Marukyan, leader del partito Armenia Luminosa, che ha conquistato il 7,72% dei voti (la soglia di sbarramento per le coalizioni era del 7%), e la Federazione Rivoluzionaria Armena (Dashnaktsutyun), che invece ha ottenuto il 6,59% (la soglia per i partiti era del 5%).
Rimangono fuori dal parlamento invece il partito Rinascimento Armeno (3,72%), la coalizione Ohanyan-Raffi-Oskanyan, guidata dal partito dell’Eredità (2,08%), la coalizione guidata dal Congresso Nazionale Armeno dell’ex presidente Levon Ter-Petrosyan (1,62%), i Democratici Liberi (0,93%) e il Partito Comunista (0,74%). L’affluenza alle urne è stata del 60,86%, confermando la media del paese.
Prospettive post-elettorali
È proprio dal Partito Repubblicano che proviene Serzh Sargsyan, presidente armeno in carica dal 2008 nonché segretario del partito stesso. Diversi attivisti e membri della società civile hanno ipotizzato che il passaggio al parlamentarismo puro sia stata una mossa studiata a tavolino proprio dal presidente Sargsyan per continuare a mantenere il controllo del paese anche dopo la scadenza del suo secondo mandato quinquennale, nel 2018, magari reinventandosi in futuro nell’ormai più prestigioso ruolo di primo ministro.
Secondo alcuni analisti, essendo arrivati appena al di sotto della soglia necessaria a ottenere il premio di maggioranza, i repubblicani rinnoveranno l’attuale alleanza con la Federazione Rivoluzionaria Armena: sarebbero così questi due partiti a nominare il primo ministro. Chiaramente, con il passaggio dal semi-presidenzialismo al parlamentarismo puro, la nomina del premier diverrà un atto politico strategico, mentre la carica di capo di Stato assumerà una connotazione più simbolica.
Nell’eventualità di una rinnovata alleanza tra i repubblicani e il Dashnaktsutyun, si renderebbe probabile la riconferma dell’attuale premier Karen Karapetyan, esponente del Partito Repubblicano che gode di diversi consensi tra la popolazione armena.
Corruzione e malcontento
Mentre ancora gli armeni si recavano alle urne, sono iniziate le segnalazioni di decine di violazioni connesse al problema della segretezza del voto, ai diritti dell’elettorato e degli scrutatori, oltre che a problemi tecnici dovuti alle nuove tecnologie impiegate nel corso delle elezioni. Stando a quanto dichiarato dal colonnello Meruzhan Hakobyan e dagli osservatori del Citizen Observer Initiative, molte segnalazioni riguarderebbero attività di indirizzamento e influenza sugli elettori, violazioni del segreto dell’urna elettorale e scambi di identità.
Inosservanze e violazioni, dunque, continuano a intaccare il processo elettorale in Armenia, nonostante la supervisione messa in atto dalla delegazione UE e le numerose iniziative volte a tutelare le libertà democratiche nel paese. Il tentativo di fermare il flusso della corruzione non è però del tutto fallito: le segnalazioni, più numerose rispetto ai casi passati, dimostrano l’accresciuta intolleranza dei cittadini nei confronti di violazioni dei diritti dell’elettorato.
Il malcontento, tuttavia, non è solo motivato da questioni di carattere politico. Nel 2016, infatti, il tasso di crescita è ulteriormente sceso: dal 3% del 2015 si è passati allo 0.2%. Tsarukyan, intervistato all’uscita dal seggio, ha definito “impossibile” la crescita economica del paese nella situazione presente. Intanto, cresce anche l’intolleranza nei confronti di una classe politica che negli anni passati ha acuito la recessione economica.
Immagine: The Armenian Observer Blog