Quello del 16 aprile potrebbe non essere l’unico referendum imminente nell’incostante Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. Dopo che le tensioni con alcuni stati del Vecchio continente – in primis Germania e Olanda – sembrano aver raggiunto un punto di non ritorno, il Presidente ha minacciato di indire una consultazione popolare sulla prosecuzione dei negoziati per l’ingresso nell’Unione europea.
«Per adesso pensiamo al referendum del 16 aprile, poi, però, potremmo organizzarne un secondo sull’opportunità o meno di continuare sulla strada dell’adesione all’Ue. Ovviamente, rispetteremo l’esito delle urne, qualunque esso sia, anche se questo dovesse voler dire interrompere i negoziati», ha dichiarato Erdoğan da Antalya, nel sud della Turchia.
È dal 2005 che Ankara è in trattativa per l’ingresso nell’Unione dei 28. Ma da allora il processo è proseguito molto lentamente e ci sono state numerose battute di arresto a causa di diatribe e critiche su questioni spinose come la situazione a Cipro, il rispetto dei diritti umani, il terrorismo islamico.
Erdoğan contro tutti
Le tensioni con l’Europa erano iniziate nelle scorse settimane con l’incidente diplomatico con i Paesi Bassi, scoppiato in seguito al rifiuto del governo dell’Aja di autorizzare l’ingresso nel Paese del ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu, atteso a Rotterdam per partecipare a un comizio elettorale a sostegno del referendum del 16 aprile. Referendum che propone la modifica della costituzione turca in senso presidenziale, con l’ampliamento notevole dei poteri del presidente. Anche la Germania aveva già precisato che gli eventi elettorali turchi tenuti nel suo territorio non erano graditi.
È così iniziata un’escalation di dichiarazioni anche offensive da una parte e dall’altra, con punti di non ritorno. Erdoğan ha accusato Olanda e Germania di usare metodi “nazisti”, provocando la dura reazione di Berlino, che ha condannato l’accostamento con una pagina così buia del suo recente passato.
Il rais di Ankara ha poi ribadito che la comunità turca in Occidente, in particolar modo quella musulmana, è vittima dell’Europa. «Non fate tre figli, ma cinque. Perché voi siete il futuro dell’Europa. Questa sarà la migliore risposta all’ingiustizia che vi è stata fatta», ha dichiarato durante un comizio a Eskişehir.
E i toni si sono ulteriormente alzati dopo che il Parlamento europeo ha sospeso la distribuzione del quotidiano filo-governativo turco in lingua inglese Daily Sabah. «Dove sono la democrazia e la libertà di cui tanto vi vantate?», ha detto Erdoğan. «Mi chiamate il “dittatore”. Finché continuerete, io continuerò a chiamarvi fascisti e nazisti».
Il monopolio di Erdoğan in dirette e trasmissioni tv
In questo finale di campagna elettorale, sono Erdoğan e il suo partito a occupare lo spazio maggiore in tv. Il 90% dei comizi trasmessi in diretta televisiva tra il primo e il 10 marzo (470 ore su un totale di 531) ha riguardato eventi elettorali tenuti dal presidente Erdoğan o da esponenti del suo partito. Alla principale forza d’opposizione, il Chp, sono state garantite appena 45,5 ore. Nessuno degli eventi della formazione filo-curda Hdp, invece, è stato mostrato dalle tv. Le stesse cifre riguardano i telegiornali (136 ore su 168) e i talk show; una situazione in cui non fa eccezione la tv pubblica Trt.
I dati sono stati diffusi dai promotori della campagna per il “no” al referendum. Autore della rilevazione statistica è l’Osservatorio “Unità per la democrazia”. Un allarme che segue le polemiche, nelle scorse settimane, legate all’emanazione di un nuovo decreto che esentava l’autorità per le telecomunicazioni (RTUK) dall’obbligo di far rispettare alle tv private le regole, fissate dal Consiglio elettorale supremo (YSK), sulla par condicio negli spot e nelle trasmissioni propagandistiche.
Foto: Istanbul, manifesto elettorale di Erdoğan