Sabato 25 marzo a Minsk è andata in scena una protesta, ovviamente non autorizzata, che per risposta della polizia e numero di arresti non si ricordava da molto tempo in Bielorussia.
I numeri non sono chiari, ma si parla di oltre trecento arresti, tra cui giornalisti, esponenti delle opposizioni, attivisti per i diritti umani.
La protesta
L’hanno definito il Giorno della libertà, in ricordo del novantanovesimo anniversario della proclamazione della Repubblica Popolare Bielorussa nel 1918. Ma a dire il vero più che di una manifestazione storica si è trattata di una manifestazione di protesta, contro una nuova tassa imposta e, in generale, contro il potere incontrastato di Lukashenko.
Circa 1500 persone di ogni età si sono ritrovate nel viale principale di Minsk a sfidare il divieto di manifestare e la minaccia della repressione. Poche persone, si dirà, ma che unite a quelle in altre città della Bielorussia rappresentano una vera notizia in un paese dove la libertà di associazione e di espressione sono spesso in discussione.
La polizia, intervenuta in massa ed in tenuta antisommossa, ha dapprima accerchiato i manifestanti e successivamente ha arrestato quante più persone possibili, senza curarsi di che ruolo avessero nella manifestazione, se fossero in quel posto ad aspettare l’autobus o a passare per caso.
Prevenire è meglio che curare
Dopo un mese di proteste sembra che Lukashenko abbia deciso di usare la mano pesante. Finora aveva lasciato fare, ma evidentemente la paura che possano sfociare in qualcosa di più grave ed il veder mettere a rischio il suo potere lo hanno spinto ad optare per la repressione.
Non si tratta infatti solo dell’arresto dei manifestanti, quanto della messa fuori gioco in poche ore di due dei leader delle opposizioni: Vladimir Nekliayev e Nikolay Statkevich. Il primo è stato arrestato nella zona di Brest mentre si dirigeva a prender parte alla manifestazione di Minsk, mentre il secondo è scomparso dal 23 di marzo e si presume esser trattenuto dalle forze di polizia.
Nell’elenco degli arrestati ci sono anche numerosi giornalisti tutti colpevoli di aver tentato di coprire mediaticamente l’evento e, come se non bastasse, c’è da includere nella repressione anche l’irruzione nella sede dell’organizzazione per il rispetto dei diritti umani Vesna, e l’arresto di circa trenta attivisti.
Le cause contingenti e quelle profonde
Le proteste sono nate dall’entrata in vigore del decreto presidenziale n. 3 “Sulla prevenzione della dipendenza sociale” di cui avevamo già parlato. Con questa misura è stato imposto il pagamento di una tassa di circa 200 euro rinominata dei “parassiti sociali”, nei confronti dei disoccupati. Il 9 marzo Lukashenko ha deciso, in risposta all’impopolarità del provvedimento, di sospendere l’applicazione della norma, ma ormai il malcontento si era diffuso.
Le cause profonde però vanno ricercate altrove. Nonostante un generale apprezzamento per le politiche del presidente, capace, a detta di molti, di esser stato in grado di evitare uno scenario ucraino in Bielorussia e di aver dato stabilità al paese, egli è accusato di essere responsabile della grave crisi economica che ha portato la Bielorussia ad una forte recessione presente ormai dal 2015.
Le prospettive
Finora Lukashenko si è dimostrato abile nell’usare bastone e carota. Non sembrano esserci i presupposti perché la situazione degeneri, ed egli negli anni ha dimostrato di saper destreggiarsi molto bene tra crisi politiche ed economiche. La parziale apertura ad occidente degli ultimi anni ed il recuperato ruolo internazionale lo hanno portato a fare piccole ma significative concessioni ai suoi oppositori: quale occasione migliore per fare marcia indietro?