La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato l’Ungheria per detenzione illegale di due profughi bengalesi, Ilias Ilias e Ali Ahmed, sottolineando che la loro espulsione verso la Serbia – e da lì, a catena, verso Macedonia e Grecia – li espone al rischio di condizioni inumane e degradanti.
I due richiedenti asilo erano arrivati in Ungheria nel settembre 2015 lungo la rotta balcanica, e vi avevano immediatamente presentato domanda d’asilo. Ma per 23 giorni sono rimasti rinchiusi nel campo di confine di Röszke, e da lì direttamente espulsi indietro verso la Serbia, senza che le loro richieste d’asilo fossero prese in seria considerazione, né che venissero valutate le condizioni che avrebbero trovato.
Detenzione arbitraria ed espulsione senza garanzie
Secondo i giudici del Consiglio d’Europa, “il confinamento dei ricorrenti nella zona-frontiera di Röszke ammonta a detenzione, poiché essi sono stati di fatto privati della loro libertà senza alcuna decisione formale e ragionata, e senza appropriata valutazione da parte di un giudice” (violazione dell’articolo 5 della Convenzione). Le condizioni di detenzione nel campo di Röszke non sono state giudicate inumani o degradanti in sè; ma la Corte condanna l’Ungheria anche per la mancanza di un meccanismo di ricorso attraverso cui i profughi detenuti avrebbero potuto lamentarsi delle proprie condizioni di incarcerazione (violazione dell’articolo 13 della Convenzione). Infine, la corte riconosce che l’espulsione dei due profughi verso la Serbia, in mancanza di effettive garanzie di protezione, li ha esposti al rischio di subire trattamenti inumani e degradanti (violazione dell’articolo 3 della Convenzione).
In particolare, secondo i giudici di Strasburgo, le autorità ungheresi non hanno condotto una valutazione individuale di ciascuna richiesta d’asilo, ma schematicamente riferito alla lista nazionale di paesi terzi sicuri, trascurando le prove portate dai due richiedenti asilo, e imposto su di loro un eccessivo onere della prova, in particolare nel dimostrare di essere a rischio di un’espulsione a catena fino alla Grecia, dove avrebbero dovuto subire condizioni d’accoglienza inumane e degradanti. Come risarcimento, il governo ungherese dovrà ora pagare 10.000 euro a ciascuno dei due profughi, oltre alle spese legali.
Gli standard europei sulla detenzione amministrativa
La maggior parte degli stati membri del Consiglio d’Europa prevede la detenzione amministrativa degli stranieri trovati in violazione della legislazione sull’immigrazione; ma tale detenzione, secondo il Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT) del Consiglio d’Europa, dev’essere una misura di ultima risorsa, preceduta da una valutazione individuale di ciascun caso. Gli standard del CPT ricordano in particolare la necessità di garantire locali e condizioni adeguate, personale qualificato e procedure effettive di ricorso e reclamo, oltre ad assistenza sanitaria adeguata in particolare per i più vulnerabili, inclusi i minori.
Le reazioni
Marta Pardavi del Comitato Helsinki ungherese, patrocinatore del ricorso, ha salutato la decisione di Strasburgo come una “grande vittoria”. La corte ha dimostrato che la legislazione e la prassi ungherese, in particolare la detenzione dei richiedenti asilo al confine e il loro respingimento in Serbia, è illegale e contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Dall’altra parte, il governo di Viktor Orban ha definito “assurda” la sentenza e accusato la Corte di prendersela con Budapest perché “protegge i suoi confini e quelli dell’Europa” secondo Balazs Hidveghi di Fidesz. Le nuove norme anti-rifugiati varate da Budapest – che prevedono la detenzione amministrativa al confine di tutti i richiedenti asilo – potrebbero finire presto anche loro sotto la scure dei giudici di Strasburgo, mentre il governo potrebbe vedersi costretto a risarcire ciascuno dei profughi detenuti e respinti.
Secondo Gabor Gyulai, del Comitato Helsinki ungherese, “le nuove norme trattano i rifugiati da “immigrati illegali”, negando loro la protezione internazionale obbligatoria”. Da anni l’Ungheria ha il più basso tasso di riconoscimento delle domande d’asilo in Europa – il 9% nel 2016 rispetto ad una media europea del 63%. L’Ungheria respinge il 91% dei richiedenti asilo siriani, l’87% degli iracheni e il 94% degli afghani, nazionalità con i più alti tassi d’accoglienza d’asilo in Europa.
Nel frattempo, da domenica scorsa, 80 richiedenti asilo afghani, siriani e pakistani, sono in sciopero della fame nel campo di Bekescsaba, nei pressi della frontiera romena. “Liberateci”, “siamo rifugiati, non criminali”, è il messaggio distribuito dal loro portavoce, Zanyar Faraj. Anche per loro, si spera, ci sarà sempre un giudice a Strasburgo.
Foto: Bence Jardany / Rebecca Harms, Flickr