Secondo il Global Militarization Index stilato dal Bonn International Center for Conversion (BICC), nell’ultimo anno si è assistito ad una generale tendenza al riarmo nella maggior parte delle regioni del mondo. Tra di queste, l’Europa orientale e lo spazio post-sovietico si classificano in posizioni di rilievo, confermando i risultati elaborati da SIPRI e IISS.
Il metodo analitico impiegato dal BICC è peculiare poiché non guarda semplicemente all’importo delle spese per la Difesa. Tale mero dato quantitativo, più l’ampiezza dei contingenti militari ed il numero di armi pesanti sono invece rapportati per ciascuno Stato alle spese in ambito sanitario, la disponibilità di medici e la popolazione totale. Ne risulta non un banale indicatore del peso che la componente militare ha sul budget governativo, bensì sulla data società nel proprio complesso. Un indice, appunto, di militarizzazione.
In tal quadro, Armenia, Russia ed Azerbaijan si piazzano rispettivamente al terzo, quinto e nono posto della “top 10” mondiale – dalla quale mancano invece colossi come Stati Uniti e Cina, che pur spendono ingenti somme di denaro in armamenti e altrettanto guadagnano dalle proprie esportazioni nel settore. Semplicemente, i loro settori militari, per quanto enormi, risultano proporzionati a PIL e popolazione.
Stringendo lo sguardo alla sola Europa, l’Est ancora si distingue. Sebbene più della metà della spesa militare totale sia a carico, nell’ordine, di Regno Unito, Francia, Germania e Italia, questi Paesi non si qualificano come i più militarizzati. Spiccano invece, tra gli altri, Bielorussia, Ucraina ed Estonia – certamente non grandi potenze ma tutte non a caso posizionate lungo la rinnovata faglia di ostilità Est-Ovest. Nel complesso, l’Est Europa tutta sembra aver preso la decisione di invertire l’ormai consolidato andamento al ribasso delle spese per la Difesa che aveva caratterizzato il vecchio continente.
Nel prossimo futuro è previsto un ulteriore incremento della militarizzazione dei Paesi europei e degli ex Paesi socialisti in particolare. Le cause sono numerose e diverse. Primo, nel finalizzare il proprio “ritorno all’Occidente”, quegli Stati stanno rafforzando le proprie industrie belliche a discapito delle commesse prima provenienti da Mosca ed in linea con gli elevati standard atlantici. Secondo, è chiaro come le numerose instabilità regionali e, inter alia, la minaccia russa percepita da molti, giochino a favore del rialzo delle garanzie militari.
Quanto appena detto, tuttavia, spiega l’ammontare della spesa per la Difesa, ma non il grado di militarizzazione. Oltre che a difficoltà strutturali – per Kiev e Minsk – specialmente – nel ridimensionare il sovrabbondante sistema militare ereditato dal passato, un tale risultato può trovare spiegazione anche in fattori culturali. Infatti, le culture politiche est europee ancora vedono come centrale, in modo più o meno marcato, un certo militarismo, da cui deriva un imperfetto equilibrio tra sfere civile e militare.
Certamente, ciò ha un peso diverso in base al Paese considerato: Polonia e Repubblica Ceca non sono equiparabili ai vicini sopra citati. Tuttavia, sembra risultare ancora una volta come il maggiore problema dell’Est Europa sia più di natura domestica che internazionale e sia, precisamente, una incompleta transizione dal socialismo. Fintanto che i molteplici ed irrisolti nodi interni di quei Paesi non saranno sciolti, in nessun modo le (in)compatibilità con i vicini, ad Est o ad Ovest, potranno trovare un assetto stabile – e la gabbia del passato continuerà a costringere il futuro.
Questo articolo é frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association ed é pubblicato anche su PECOB, Università di Bologna.