di Angelo Baglioni , Andrea Boitani e Massimo Bordignon
da La Voce.info
La crisi greca è stata gestita davvero male e ciò ha provocato un notevole aumento dei suoi costi. Ma il caso Grecia mette in luce la debolezza della governance europea e la mancanza di leadership dei governanti. Che si sono mossi sotto la pressione di scadenze elettorali immediate, senza una visione di lungo periodo. Per evitare che si ripetano gli stessi errori, si deve fare un salto di qualità, puntando su un grado di integrazione maggiore dell’attuale. Un primo passo potrebbe essere quello di affidare la gestione delle crisi debitorie a un organismo tecnico e indipendente.
Il voto di fiducia ottenuto dal governo Papandreou il 21 giugno ha fatto tirare un sospiro di sollievo all’Europa, ma la situazione è ancora molto tesa.
UNA CRISI MAL GESTITA
Fra pochi giorni (28 giugno), il parlamento greco è chiamato ad esprimersi sul piano di aggiustamento fiscale e di privatizzazioni concordato con la “troika” (Fmi, Commissione UE e Bce) durante l’ultima missione ad Atene. Il passaggio parlamentare è cruciale per l’erogazione della quinta tranche di finanziamenti prevista dal piano di assistenza concordato l’anno scorso, come si legge nel comunicato finale del vertice dei ministri finanziari della zona euro del 20 giugno. Questa minaccia mette l’Europa in un vicolo cieco. Se il parlamento greco – condizionato da una situazione sociale esplosiva e con un governo che dispone di una maggioranza di soli cinque seggi – non dovesse dare la sua approvazione alla manovra fiscale, i partner europei avranno due opzioni. O si rimangiano la minaccia ed erogano comunque il finanziamento, giocandosi così la propria credibilità, oppure costringono la Grecia a una insolvenza disordinata: impossibilità di restituire il debito in scadenza a luglio e difficoltà nel pagare stipendi pubblici e pensioni. A quel punto, forse, solo un intervento in extremis della Bce potrebbe evitare il baratro alla Grecia e il diffondersi del contagio ad altri paesi europei, ma questo intervento non sarebbe certo privo di conseguenze negative nel medio periodo.
Come si è arrivati a questo punto? Il Pil della Grecia rappresenta il 2,5 per cento di quello dell’area euro; il suo peso relativo sull’economia dell’area è quindi paragonabile a quello delle Marche per l’Italia (2,7 per cento); e il debito pubblico greco è pari solo al 3,6 per cento del Pil della zona euro. Come è possibile che la crisi debitoria di un paese di dimensioni così ridotte metta a repentaglio la stabilità finanziaria dell’Europa e la sopravvivenza della stessa moneta unica?
La crisi greca poteva essere gestita senza traumi, attraverso un intervento di sostegno da parte dei partner europei che prevedesse, da un lato, finanziamenti a tassi agevolati per un lungo periodo (diciamo un decennio) e, dall’altro, l’adozione di un programma di aggiustamento fiscale e di riforme graduali per ridare competitività al paese, realisticamente realizzabile nell’arco di alcuni anni. Un piano credibile di lungo periodo avrebbe consentito alla Grecia di tornare sui mercati finanziari presto e a tassi ragionevoli. Si è scelto invece di erogare un finanziamento a tassi penalizzanti e (nella previsione iniziale) per soli tre anni, imponendo allo stesso tempo una correzione fiscale repentina e costosa sul piano sociale: sette punti di riduzione del disavanzo primario nel 2010 (dal 10 al 3 per cento, dati IMF Outlook), facendo sprofondare il paese nella recessione (4,5 per cento la riduzione del Pil nello stesso anno). Questa correzione ha creato le premesse per l’attuale disordine sociale e politico in Grecia.
Non solo, ma si è anche fatto di tutto per destabilizzare i mercati finanziari. Alcuni governi europei, in particolare quello tedesco, avevano in un primo momento addirittura minacciato di non partecipare al piano di sostegno, creando un clima di forte incertezza. Più di recente, hanno preteso di inserire nella trattativa, già complessa e tormentata, la partecipazione dei creditori privati ai costi per il “salvataggio” della Grecia inducendo ulteriori incertezze nei mercati sulla sostenibilità del debito pubblico greco.
Tutto questo è stato fatto per venire incontro ai malumori dell’elettorato in Germania e in alcuni altri paesi nordici. I loro governi hanno però ignorato un principio economico fondamentale. Una garanzia di assistenza finanziaria (a una banca così come a un paese sovrano) deve essere credibile e deve evitare costi ai creditori: solo così questi ultimi mantengono le loro esposizioni e il costo dell’intervento di sostegno si riduce al minimo. Al contrario, la mancanza di credibilità e la volontà di “farla pagare” ai creditori fanno scappare questi ultimi, aumentando la dimensione e il costo del salvataggio. Per non dispiacere ai suoi elettori, Angela Merkel ha fatto aumentare il conto a carico degli stessi contribuenti tedeschi: infatti, il piano di assistenza concordato l’anno scorso dovrà essere raddoppiato, per l’impossibilità della Grecia di tornare a finanziarsi a tassi ragionevoli sul mercato.
PER UNA VERA FEDERAZIONE DI STATI
La cattiva gestione della crisi greca mette in luce la debolezza della governance europea e la mancanza di leadership dei governanti. Questi ultimi si sono mossi sotto la pressione di scadenze elettorali immediate, senza una visione di lungo periodo. Per evitare che si ripetano gli stessi errori, la governance europea deve fare un salto di qualità, puntando su un grado di integrazione maggiore dell’attuale. Su questo fronte, un appuntamento importante è il Consiglio europeo che si tiene in questi giorni (23-24 giungo), che è chiamato a completare, in accordo con il Parlamento europeo, le innovazioni introdotte nel marzo scorso. Le linee fondamentali della nuova governance europea sono già state delineate allora.
In particolare, il nuovo Patto di stabilità e crescita prevede vincoli più stringenti rispetto alla sua forma attuale e la sorveglianza degli squilibri macroeconomici è un giusto allargamento di orizzonte rispetto al tradizionale focus sui saldi di finanza pubblica. Siamo ancora lontani dalla creazione di una vera e propria federazione di stati con un suo bilancio, ma questa prospettiva, per quanto avveniristica possa sembrare al momento, è l’unica che può garantire davvero la sopravvivenza della moneta unica nel lungo periodo.