Cercando il nome di Umida Akhmedova in Internet i risultati sono pochi: una pagina di Wikipedia in inglese o russo, qualche notizia sulla condanna del 2010 e sul “Václav Havel International Prize for Creative Dissent” vinto nel 2016 per le attività di denuncia sociale.
La signora Akhmedova è una fotoreporter uzbeka, vive a Tashkent con il marito Oleg Karpov dove lavorano da anni a documentari e mostre fotografiche. Umida ama soprattutto ritrarre le condizioni di vita della popolazione uzbeka nelle zone rurali, una scelta che negli ultimi anni ha avuto ripercussioni sulla sua vita e sulle sue libertà personali. Tramite la figlia Diana, siamo riusciti a metterci in contatto con lei.
Il suo approdo alla fotografia di inchiesta è stato casuale. Presa la macchina fotografica in mano, iniziò però ben presto ad appassionarsi e ritrarre scene di vita ordinaria. La formazione sovietica tuttavia non le aveva fornito alcun insegnamento in questo campo. Solo grazie ad alcune riviste fotografiche che pervenivano illegalmente nell’URSS, tra cui una ceca dove lavoravano Kudelko e Josef Sudek, Umida ha potuto conoscere la fotografia occidentale.
Nel 2009 è stata invitata a presentarsi alla polizia: durante l’interrogatorio racconta di essere stata assalita dall’impotenza, certa ormai che la vicenda si sarebbe conclusa con una sanzione penale. La condanna a 15 anni di reclusione per “oltraggio al popolo uzbeko” è arrivata nel 2010, ma le è stata concessa una sospensione in occasione dei 20 anni di indipendenza del Paese.
Nel 2016 l’Oslo Freedom Forum le ha conferito il premio “Václav Havel International Prize for Creative Dissent”. Umida dice di essersi sentita “sorpresa e colma di gioia”. È orgogliosa di essere la prima fotografa a ricevere questo premio e onorata di essere messa accanto a “Ai Weiwei, Pussy Riot e Peter Pavlensky”.
Sulla situazione dell’Uzbekistan odierno Umida non è per niente ottimista: il Paese vive sotto una dittatura, senza libertà di parola o stampa, né tantomeno una società civile. Afferma sarcastica che nessuno si sarebbe aspettato la morte del Presidente Karimov, ma non prevede cambiamenti, piuttosto un mantenimento generale dello status quo. Per lei, se mai, ultimamente le cose sono peggiorate.
Portare avanti il suo lavoro sta diventando sempre più complicato. Durante l’ultimo raccolto del cotone, mentre scattava foto ai lavoratori nel villaggio dei suoi genitori, è stata portata alla stazione di polizia e interrogata per un intero pomeriggio. Umida sa di essere segnata nella «lista nera»: ai servizi segreti è noto che le sue opere sono pubblicate su siti internet indipendenti, e la cosa non piace.
Il governo ritiene che chi lavora nel suo settore sia potenzialmente una spia e lei è perfettamente consapevole di essere controllata e, in occasione dei grandi eventi come le elezioni o il giorno dell’indipendenza, addirittura pedinata. Da quando è morto Karimov, non le è stato ancora concesso il permesso che in Uzbekistan serve per ottenere il visto per entrare in altri Paesi.
Alla richiesta del motivo per il quale non richieda asilo in un altro Paese, Umida risponde con un secco “Niet” ; tra le ragioni, prima di tutto, l’amore per il suo popolo.
Il lavoro di Umida Akhmedova può davvero influenzare la società uzbeka? La fotoreporter afferma che grazie a social media e Internet un numero inaspettatamente alto di giovani uzbeki ha potuto vedere il documentario per il quale ha vinto il premio dell’Oslo Freedom Forum e sebbene riceva costantemente critiche da una cospicua parte della società, molti, comunque, rispettano lei e il suo lavoro. Non si può escludere che possa progressivamente svilupparsi una cultura parallela in Uzbekistan, contrapposta a quella ufficiale.