Negli anni ’90, le repubbliche e le nazioni costituenti della Jugoslavia hanno decretato la fine dello stato federale e tentato di ricostituirsi in stati-nazione sovrani attraverso una violenta ridefinizione etno-nazionale del territorio e della sua cittadinanza. Dunque negli stati post-jugoslavi i riferimenti positivi allo stato comune sono andati scomparendo e il suo mito fondante nella lotta di liberazione antifascista è stato ridimensionato e nazionalizzato. Ciononostante, l’inconsistente ripetitività degli slogan nazionalisti accompagnati dalla totale ininfluenza in politica estera e il fascino della liberazione antifascista jugoslava fanno sì che parte della popolazione continui a celebrare i vecchi riti.
L’eccezione slovena
Tra gli stati post-Jugoslavi, solo la Slovenia sembra aver concluso una transizione armonica verso lo stato indipendente, senza eccessivi strappi con l’esperienza jugoslava. Ciò è stato possibile per l’assenza di compagini statali precedenti la lotta antifascista, durante la quale sono stati riuniti i territori sotto occupazione italiana, tedesca, ungherese e croata.
Decisamente diversa è la situazione in Serbia e Croazia, dove la politica tende a un rapporto di cesura con il passato jugoslavo, a riattivare connessioni ideali con esperienze precedenti e ad approntare nuovi riferimenti fondativi. Della ridefinizione dei riferimenti storici della Serbia contemporanea si è scritto qui e altrove.
Riti jugoslavi? Sì, ma solo per adulti
Oltre alla figura di Tito che i circoli nazionalisti croati vorrebbero condannare all’oblio, alcuni casi spiegano bene l’atteggiamento verso i riti d’origine jugoslava. Nel maggio 2015, a Čavle, un’associazione di veterani croati si oppose a una visita degli alunni della scuola elementare cittadina a Kumrovec – villaggio natale di Tito. La visita era stata organizzata dall’associazione dei combattenti antifascisti in prossimità del Giorno della gioventù, importante festa nazionale durante la Jugoslavia. Tutt’oggi il 25 maggio più di 10.000 persone si recano a Kumrovec per celebrare Tito, la Jugoslavia e l’antifascismo. I bambini della scuola elementare di Čavle però non vi parteciparono: l’associazione dei veterani fece pressione sulle famiglie perché ritirassero l’autorizzazione per la gita.
Il 27 luglio invece si celebrava in Croazia il giorno della lotta antifascista. In quella data, nel 1941, la popolazione (perlopiù serba) si era ribellata ai collaborazionisti Ustascia. Mentre la festività nazionale cade ora il 22 giugno, le celebrazioni del 27 luglio sono state mantenute come celebrazione ufficiale della Lika e della minoranza serba di Croazia. Queste si tengono ogni anno a Srb, nonostante le associazioni dei veterani si accampino per impedirle. Lo scorso 27 luglio, un coro di bambini ha recitato alcuni versi del poeta e presidente del fronte anti-fascista di Croazia Vladimir Nazor. Venuto a sapere della vicenda, il difensore civico della contea di Zara è intervenuto in difesa dei diritti dell’infanzia, ritenendo che i bambini fossero stati manipolati per una campagna politica e incitati a “diffondere l’odio verso i croati”. Il difensore civico ha poi suggerito alla scuola che frequentano i bambini di (ri-)educarli alla “vera natura” della lotta anti-fascista.
Siccome lo stato croato non può vietare ai cittadini di associarsi liberamente, l’obbiettivo dei circoli nazionalisti rimane quello di impedire che certe tradizioni vengano tramandate. Nonostante l’impegno nell’imporre a tutti l’osservanza esclusiva dei riti ufficiali, rivoli di sfacciato jugoslavismo continuano a resistere (qua e là) dimostrando che la storia dei popoli è più liquida delle cesure operate dalle narrazioni ufficiali.
Foto: Siniša Luković
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association e PECOB, Università di Bologna.