di Giacomo Danielli
Il partito Giustizia e Sviluppo (AKP) del premier uscente Erdoğan si è assicurato la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento Turco, dopo le consultazioni elettorali dello scorso 12 giugno. All’AKP sono andati 326 dei 550 posti disponibili nell’assemblea; il partito kemalista CHP ne ha ottenuti 135, 53 gli ultranazionalisti del MHP e 36 sono andati al “Blocco laburista per la Democrazia e la Libertà” (partito Curdo BDP e intellettuali di sinistra).
Erdoğan, pur avendo ottenuto un margine più che rassicurante per governare il paese per la terza volta consecutiva, non è riuscito a raggiungere l’obiettivo elettorale più ambizioso, ovvero quei 330 seggi che gli avrebbero permesso di emendare e riformare totalmente la carta costituzionale. Il sistema turco, infatti, prevede che gli interventi sulla Costituzione abbiano effetto immediato se approvati da una maggioranza qualificata di 376 parlamentari o, in subordine, possano essere sottoposti a referendum confermativo se approvate da almeno 330 rappresentanti.
L’attuale Costituzione della Repubblica Turca è stata promulgata, di fatto, nel 1982 dai militari golpisti ed è di conseguenza fortemente carente nelle tematiche legate alle libertà di opinione, di pensiero, di libera associazione, di sindacalizzazione; inoltre, uno degli obiettivi prioritari del Premier, neanche troppo velato, era quello di rifondare una nuova Repubblica di tipo presidenziale.
A questo punto, si possono prevedere diversi scenari futuribili in questa ennesima sfida dell’AKP all’establishment politico-militare turco.
La prima opzione potrebbe essere quella di cercare un ampio consenso parlamentare, per riscrivere una Costituzione dove la centralità dell’individuo dovrebbe sostituire quella dello Stato e dell’apparato militare. Sembra, però, alquanto difficile poter conciliare le aspettative della base politica di MHP e CHP da una parte e del BDP dall’altra in un unico progetto strutturale.
La seconda strada, forse meno utopica, è rappresentata da un coinvolgimento diretto dei parlamentari di estrema sinistra nel progetto di riforma. Va fatto notare, tra l’altro, che proprio molti degli intellettuali turchi che hanno sostenuto in queste elezioni il BDP si erano schierati decisamente per il Sì nella campagna referendaria dello scorso settembre per confermare alcuni emendamenti apportati dall’AKP alla Costituzione. Di difficile conciliazione, però, sembrano le idee difformi, soprattutto sulle tematiche sociali e sulle libertà personali che esistono tra i parlamentari della sinistra radicale ed il partito di maggioranza.
Un’ultima possibilità sarebbe quella di dialogare direttamente con il maggior partito di opposizione, quel CHP che, dopo la salita ai vertici di Kemal Kılıçdaroğlu, ha affievolito alcuni caratteri nazionalisti, cambiando nettamente l’orientamento della precedente leadership di Deniz Baykal.
Qualsiasi sia lo scenario che si presenterà, sembra alquanto difficile che le istanze di realizzazione di una Repubblica Presidenziale possano essere attuate. Tutti i partiti di minoranza, infatti, hanno già espresso in campagna elettorale un parere fortemente negativo verso qualsiasi forma di presidenzialismo.