di Andrea Dimasi
Lo sport non ha mai rappresentato nulla di speciale nella vita degli azeri. Fatta eccezione per il fenomeno nazionale degli scacchi, del quale l’Azerbaigian ha rappresentato la scuola di massimo prestigio sotto la bandiera sovietica, per anni lo sportivo più amato in riva al Caspio è stato Tofiq Bakhramov: il guardalinee che, durante la finale mondiale di Wembley del 1966, convalidò uno dei “gol-fantasma” più celebri della storia del calcio, aprendo la strada della vittoria al’Inghilterra e guadagnandosi il titolo di The Russian Linesman.
Undici anni dopo la sua morte, gli è stato perfino intitolato lo stadio Nazionale di Baku: unico esempio nel globo di un impianto sportivo intitolato alla memoria di un guardalinee. Da qualche anno a questa parte, la situazione sembra però essere cambiata. Nel 2015 Baku ha ospitato la prima edizione dei Giochi Europei: un evento che ha portato in città 6.000 atleti di 50 nazionalità e di 20 sport diversi. Nel 2016 Baku è tornata al centro del panorama sportivo mondiale ospitando la prima edizione del Gran Premio d’Azerbaijan di Formula 1: tracciato cittadino disegnato dal noto progettista tedesco Hermann Tilke con passaggio obbligatorio dalla “Città Vecchia”, per esplicita volontà di mostrare le bellezze architettoniche della capitale, già patrimonio dell’Unesco.
Il gran galà sportivo non si conclude qui, e i prossimi appuntamenti in programma saranno i Mondiali di scacchi e, soprattutto, la presenza di Baku a Euro 2020 in quello che sarà il primo Europeo itinerante della storia del calcio: qui si disputeranno quattro partite.
Tutti questi investimenti in infrastrutture e grandi eventi non sono dovuti a un’improvvisa voglia di partecipare da parte degli azeri, ma a un progetto ben definito del presidente Ilham Aliyev e del suo governo. Dopo un passato fatto di affari nel mondo del petrolio e gioco d’azzardo, Ilham è al timone del paese dal 2003, dopo che elezioni farsa lo hanno incoronato come successore del padre Heydar, il presidente che portò l’Azerbaijan all’indipendenza del 1991 e per primo sfruttò le risorse del territorio caucasico, soprattutto petrolio.
Negli ultimi anni Aliyev ha capito che investire nello sport è il modo più semplice per aprire la frontiera dell’Azerbaijan al resto del mondo e per coprire problemi interni fatti di corruzione dilagante, necessità di una riforma sanitaria e scolastica, violenta repressione nei confronti di oppositori politici e organi di stampa indipendente, un PIL pro capite che non raggiunge i 10.000 dollari e una situazione di perenne tensione con l’Armenia per il territorio del Nagorno-Karabakh. Non importa che Freedom House abbia classificato il paese come “parzialmente libero”, e non conta il fatto che negli ultimi anni la forbice reddituale tra i grandi oligarchi del petrolio e gli strati più bassi della popolazione si sia allargata: quello che serve è costruire un’altra immagine dell’Azerbaijan e consolidare il suo potere portando il paese a conoscenza di un “occidente” che oggi non riesce a individuarlo così facilmente sull’atlante.
Il crollo del prezzo del petrolio ha portato a una svalutazione del 30% del Manat rispetto alle principali valute mondiali, ma questo non ha fermato Aliyev, che ha individuato nel calcio il cavallo di Troia per valorizzare la sua immagine all’estero. Nel 2013 ha firmato con l’Atletico Madrid, vice campione d’Europa, un contratto di sponsorizzazione del turismo azero per 12 milioni l’anno: ogni stagione i club locali fanno strada nelle coppe continentali, e anche se la nazionale lo sta facendo a fatica, il livello tecnico si sta alzando. Lo sport è oggi il miglior biglietto da visita, e Aliyev è arrivato a capirlo prima degli altri, raccogliendone i frutti.