Il Primo Ministro estone Jüri Ratas ha recentemente avanzato ai microfoni di Radio Svoboda la proposta di estendere la cittadinanza a chiunque abbia vissuto in Estonia per almeno 25 anni, a prescindere dall’appartenenza etnica e linguistica. Nelle intenzioni, ciò servirebbe ad aumentare la sicurezza del Paese – sia interna, rafforzando la coesione sociale; sia esterna, diminuendo la densità di un gruppo, quello dei “non-cittadini“, facilmente origine e mezzo di tensioni con la Russia.
Inserendosi entro il solco dell’annosa questione delle minoranze russe, la proposta non è stata colta con favore da più parti. Andres Herkel, segretario del Partito Libero (EV), ha subito bollato l’idea come un mero espediente politico di Ratas, tentativo di spianare la strada verso le prossime elezioni generali al Partito di Centro – di cui il Primo Ministro è membro e il quale già gode di ampio consenso tra la minoranza russa.
Martin Helme, del Partito Popolare Conservatore (EKRE), ha rincarato la dose. Non ha infatti esitato a definirla come una “svendita” della cittadinanza in favore di tutti coloro i quali non hanno ancora dimostrato la propria fedeltà alla Repubblica. Secondo Helme, ciò non potrà che portare ad un rinnovamento delle tensioni inter-etniche, perturbando il delicato equilibrio sociale dello Stato.
Persino il Ministro dell’Interno Andres Anvelt (Partito Socialdemocratico, SDE) ha definito “irresponsabile” il progetto di Ratas, ma ad essere ancor più significativa è la posizione di Jüri Adams, padre costituzionale dell’Estonia post-sovietica. Secondo Adams ogni tentativo di mutare le fondamenta della politica estone sulla cittadinanza equivarrebbe ad un ribaltamento del referendum del 1992 – con il quale la popolazione sancì di non attribuire diritto di voto agli individui non etnicamente estoni.
Il 25 gennaio il Primo Ministro ha cercato di fornire al Parlamento una serie di rassicurazioni sulla propria proposta. Ben altro che una campagna di universalizzazione della cittadinanza, essa riguarderebbe soltanto gli individui residenti in Estonia già prima dell’indipendenza dall’Unione Sovietica e sarebbe dunque applicabile a meno della metà degli 80.000 non-cittadini odierni. Inoltre, i candidati dovrebbero comunque sottostare ai severi criteri di eleggibilità definiti dell’art.6 della legge sulla cittadinanza.
Ciò non pare tuttavia essere abbastanza per ammorbidire le posizioni degli oppositori. E’ dalle parole di Adams che traspare una questione ben più profonda delle semplici divisioni partitiche. La proposta di Ratas sarebbe infatti irrealizzabile perché incapace di tenere conto del profondo divario in termini di conoscenza dei processi democratici tra i popoli occidentali – a cui l’Estonia afferirebbe – e i popoli dell’Est – ai quali sono relegate la Russia e dunque le minoranze russofone. La questione si ridurrebbe così ad una fondamentale incompatibilità nella composizione culturale e spirituale delle due popolazioni.
Quanto proposto dal Primo Ministro Jüri Ratas è lungi dall’essere accoglibile dal Parlamento. Il dibattito che ne è scaturito permette di vedere come i fattori identitari-nazionali restano cruciali nella formulazione delle scelte politiche dell’Estonia: la memoria dell’occupazione sovietica è ancora ben salda e capace di coagulare consistenti nuclei di opposizione che tagliano trasversalmente allo spettro partitico, unendolo intorno all’ideale dell’indipendenza come nazione estone. I problemi che ne derivano – tra i quali l’ostentata ostilità alla Russia – non potranno essere risolvibili se non nel lungo periodo, col favore del ricambio generazionale.
Questo articolo é frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association ed é pubblicato anche su PECOB, Università di Bologna.