Che dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco 2017 c’era poco da aspettarsi a Kiev si sapeva già. Troppi, infatti, i punti sul tavolo e troppe le problematiche e le incertezze, non ultima le relazioni tra Putin e Trump, per poter pensare che la ‘questione ucraina’ potesse dominare la discussione. Ma la Conferenza ha messo soprattutto a nudo la difficoltà di Kiev di adattarsi diplomaticamente alla nuova realtà internazionale, dove il conflitto nel Donbass, se non la questione della Crimea, è già finito da tempo in secondo piano nelle agende politiche delle cancellerie europee.
La solitudine di Poroshenko
Basta un breve sguardo all’ordine del giorno per rendersi conto di come le cose stiano cambiando. Invitato per la terza volta consecutiva, il presidente ucraino Petro Poroshenko ha partecipato alla conferenze tenendo un discorso nel giorno dell’apertura dei lavori, nel panel “The Future of the West: Downfall or Comeback?”, insieme a John McCain, il presidente polacco Duda, il ministro degli esteri britannico Boris Johnson e quello olandese Bert Koenders. La retorica del presidente ucraino ha ricalcato, però, la falsariga di tutte le sue apparizioni nazionali ed internazionali. Con il consueto pathos, Poroshenko ha condannato l’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, ha sottolineato come sia un errore considerare ‘l’appetito di conquista’ russo ‘limitato solo all’Ucraina’ e ha parlato di quanto Putin sia mosso da un ‘profondo e sincero odio verso l’Ucraina’. Il picco dell’emozionalità si è raggiunto quando il presidente ha riportato una notizia dell’ultima ora, un nuovo bombardamento da parte del ‘artiglieria russa che – avrebbe – colpito le zone residenziali, lasciando un morto e numerosi feriti’.
Le parole del presidente ucraino non hanno, però, prodotto l’effetto desiderato, tanto che, come previsto dal tema stesso del panel, gli altri interventi e la discussione successiva si sono concentrati su tematiche molto più ampie. Poroshenko è rimasto in silenzio per gran parte della discussione, quasi estraneo, tornando solo brevemente a puntare il dito contro la Russia di Putin. Il solo John McCain, repubblicano e grande sostenitore di Poroshenko, ha dato manforte al presidente ucraino, spendendo un paio di brevi parole sul conflitto nel Donbass.
La guerra in secondo piano
Nel suo complesso la Conferenza ha ampiamente toccato il tema ‘Russia’, ma gran parte degli interventi ha tralasciato la questione ucraina, sottolineando simbolicamente la crescente dicotomia tra la rigida postura diplomatica di Kiev e la mutevole situazione a livello internazionale. A differenza dei due anni precedenti, l’Ucraina è stata raramente al centro dell’attenzione durante i tre giorni della Conferenza. Offuscata da problematiche legate alla configurazione dei nuovi rapporti tra UE e NATO, dalla crisi medio-orientale, dalle relazioni tra Stati Uniti e Russia e dalla divergente visione dell’ordine internazionale nel suo complesso, esemplificata dall’intervento di Sergy Lavrov esattamente dieci anni dopo il famoso discorso di Putin dallo stesso palcoscenico bavarese. Solo pochi, brevi riferimenti alla guerra, alla Crimea e al ruolo del Cremlino in Donbass. Ma, soprattutto, nessuna vera visione per il futuro del conflitto in Donbass.
L’immagine dell’Ucraina come un baluardo per il futuro della democrazia occidentale, proposta anche quest’anno da Poroshenko, sembra ormai aver perso la propria forza politica ed emotiva. Anche se Kiev ha incassato il solito, scontato, sostegno da parte dei leader europei durante gli incontri bilaterali a margine della Conferenza, la realtà è che il conflitto in Ucraina non attira più l’attenzione dei leader mondiali. Ed è una realtà che, in concomitanza con l’anniversario della carneficina di Maidan di tre anni fa, a Kiev dovrebbero comprendere fino in fondo, soprattutto se Poroshenko crede davvero che ‘nessun accordo con la Russia possa essere fatto senza l’attiva partecipazione dell’Ucraina’.
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Foto:S.Chuzavkov/AP