“Dio non ha bisogno di beni immobili”: è uno degli slogan con cui nei giorni scorsi circa 2000 pietroburghesi hanno contestato il trasferimento di uno dei simboli della città alla Chiesa ortodossa russa (COR). Il 10 gennaio, il sindaco di San Pietroburgo Poltavčenko ha infatti ceduto la Cattedrale-museo di Sant’Isacco alla COR, che ne usufruirà gratuitamente per i prossimi 49 anni.
Un museo a rischio
Fatta costruire tra il 1818 e il 1858 dallo zar Alessandro I per celebrare la sua vittoria su Napoleone, la Cattedrale di Sant’Isacco era all’epoca la più grande della Russia. Nel 1931 venne trasformata in Museo Antireligioso. Col crollo dell’URSS, le celebrazioni religiose ripresero gradualmente a svolgersi, ma la cattedrale mantenne lo status di museo pubblico, che richiama oggi oltre 3 milioni di visitatori all’anno.
Senza i guadagni generati dagli ingressi nella cattedrale, le casse municipali perderebbero un budget considerevole. Proprio per questo, nell’estate 2015 il governatore di San Pietroburgo aveva rifiutato la prima richiesta di trasferimento avanzata dalla COR. Che non ha mollato la presa: sembra infatti che nel dicembre 2016 il Patriarca Kirill in persona abbia incontrato Poltavcenko per convincerlo ad accettare il trasferimento, assicurando che il museo resterà in funzione. Tuttavia, non è ancora chiaro come l’attività culturale si concilierà con le funzioni religiose che dovrebbero riprendere a pieno regime. Numerosi esponenti del mondo culturale pietroburghese hanno espresso pessimismo riguardo al futuro del museo.
Restituzione o scambio di favori?
La legge che regola il trasferimento alle organizzazioni religiose dei beni confiscati durante l’epoca sovietica risale al novembre 2010. Sebbene si parli spesso di legge sulla “restituzione” dei beni, questo termine non appare nel testo della legge e risulta storicamente incorretto. Nella Russia imperiale (che non era affatto uno stato laico) le proprietà della COR erano infatti gestite da un organo statale, il Santo Sinodo, subentrato al Patriarca nel 1721. Fu solo dopo la Rivoluzione dell’ottobre 1917 che i bolscevichi dichiararono la separazione dello Stato e della Chiesa.
La legge lascia comunque il via libera alla COR nel reclamare alle autorità federali, regionali e municipali la proprietà o il libero uso di qualsiasi edificio che abbia (o abbia avuto in passato) valore religioso; le autorità pubbliche hanno l’obbligo di effettuare il trasferimento entro due anni dalla richiesta.
Se per la COR il trasferimento della Cattedrale di Sant’Isacco “ristabilisce la giustizia storica”, altri vi vedono l’ennesima ingerenza del patriarcato ortodosso, che la legge del 2010 non fa altro che autorizzare. D’altronde, è su un “rapporto di cooperazione e sostegno reciproco” con la COR che si basa l’interpretazione putiniana della laicità. Opponendo i valori tradizionali dell’ortodossia al “liberalismo occidentale”, Putin trova nella COR un alleato per la sua agenda conservatrice, nonché un efficace strumento di soft power per la riunificazione del cosiddetto “mondo russo”.
“Il signore dà, il Signore toglie”
Nella sola San Pietroburgo, la COR ha già ottenuto il controllo di 50 edifici religiosi, tra cui la Cattedrale di Smolnyj, utilizzata come sala da concerti e parte di un complesso architetturale ospitante tre dipartimenti dell’Università di San Pietroburgo. Sembra inoltre che la COR tenda a reclamare esclusivamente edifici di alto valore, abbandonando a sé stesse chiese che richiederebbero ristrutturazioni e investimenti.
Dopo l’annessione della Crimea, la COR avrebbe reso note le proprie mire sulla Basilica di Cherson (Sebastopoli) e l’area archeologica adiacente, anch’esse patrimonio dell’UNESCO come la stessa Cattedrale di Sant’Isacco.
Foto: Gricianspb (Instagram)