La dichiarazione congiunta con cui si è concluso l’incontro di Astana del 23-24 gennaio porta soltanto la firma di Russia, Iran e Turchia che l’hanno organizzato. Né la delegazione delle opposizioni né quella di Damasco l’hanno sottoscritta. Basta questo dettaglio, se lo si può definire così, per capire che sono stati fatti ben pochi passi avanti. L’unico è la bozza della nuova costituzione siriana, che la Russia ha fatto circolare in via del tutto ufficiosa e di cui, in teoria, non si è discusso affatto. Di fronte alle telecamere, Mosca e Ankara hanno comunque dichiarato che il summit è stato un successo diplomatico. In realtà non ha toccato nessun aspetto politico né i nodi più spinosi e anche sulle questioni più tecniche – altrettanto delicate – come il cessate il fuoco i progressi restano appesi alle buone intenzioni.
Rafforzare la tregua
D’altro canto la delegazione delle opposizioni, tutta sbilanciata verso le formazioni militari a discapito dei rappresentanti politici, l’aveva detto chiaramente fin dal principio: nella capitale del Kazakhistan andiamo per discutere del cessate il fuoco, mentre del processo di transizione e della soluzione politica alla guerra se ne parlerà solo a Ginevra, nei negoziati guidati dall’Onu. Non c’è stato neppure un vero e proprio dialogo tra ribelli e regime: tolta una seduta iniziale (e formale) in cui erano seduti tutti allo stesso tavolo, la due giorni diplomatica è proseguita in stanze separate, con Russia Turchia e Iran che facevano la spola dall’una all’altra.
L’andirivieni di diplomatici ha prodotto un comunicato finale scarno, in cui i progressi al netto delle formule di rito occupano la miseria di due righe. I tre promotori del vertice si ergono a garanti della tregua, in vigore da fine dicembre (ma violata già centinaia di volte), e si impegnano a “stabilire un meccanismo trilaterale per monitorare e assicurare il pieno rispetto del cessate il fuoco, prevenire ogni provocazione e determinare le modalità del cessate il fuoco”. In altre parole tutto è ancora sulla carta, accordi certi e reali non ne esistono, l’unico strumento per rafforzare la tregua resta l’influenza che hanno sul regime e sui ribelli.
Al-Nusra e tutti gli altri
Influenza che resta ingabbiata da una rete di veti incrociati. Le opposizioni rifiutano l’Iran come garante della tregua e pretendono che le milizie controllate da Teheran abbandonino la Siria. La Turchia ha imposto che i curdi del Pyd non fossero invitati. Il regime di Assad continua a definire terroristi tutti i ribelli, nonostante la Russia abbia adottato una posizione molto più morbida, chiamandoli (anche nella dichiarazione finale) “gruppi armati di opposizione” e riservando il marchio di terroristi solo all’Isis e a Fatah al-Sham (l’ex al-Nusra, cioè la filiale siriana di al-Qaeda).
Una distinzione che proprio in questi giorni inizia ad apparire sempre più chiara anche sul campo, in Siria. Finora al-Nusra combatteva insieme a decine di altre milizie di ogni orientamento, troppo deboli per potersi permettere il lusso di rifiutare l’aiuto di al-Qaeda, anche se ciò comprometteva il loro ruolo agli occhi di molti. Nelle scorse settimane al-Nusra aveva proposto di unificare tutti i gruppi ribelli sotto il suo comando, un ottimo modo per impedire qualsiasi progresso diplomatico. Di fronte al loro rifiuto li sta attaccando a Idlib e attorno ad Aleppo. Il risultato è che molte di queste formazioni si stanno unendo proprio per opporsi ad al-Nusra. Più continuano gli scontri, meno è probabile che si possa ritornare alla situazione di partenza, decisamente più ambigua.
Un invito a Mosca
Chi sembra avere più libertà di manovra, e anche più interessi a rafforzare il canale diplomatico, è la Russia. Mosca ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissa quando è intervenuta militarmente: il regime di Assad non è caduto, la base di Tartus è ancora russa, e la vittoria forse decisiva di Aleppo è arrivata dopo un anno e tre mesi. Adesso si tratta di capitalizzare la posizione di forza e soprattutto di chiudere al più presto una campagna troppo dispendiosa per le casse di Mosca.
Si spiega così l’atteggiamento russo, che si propone come mediatore tra le parti dopo aver svestito in fretta e furia i panni dell’alleato di ferro di Assad. Una posizione che è emersa chiaramente ad Astana, visto che in alcune occasioni la delegazione del Cremlino ha messo ancora più nell’angolo il regime di Damasco dando ragione alle opposizioni. Ma la Russia punta più in alto. Al vertice in Kazakhistan non hanno partecipato i curdi ed altri gruppi delle opposizioni siriane, ma hanno ricevuto prontamente un invito a Mosca per essere aggiornati sugli sviluppi della situazione. Un altro canale aperto, che da un lato segnala la fretta della Russia e dall’altro potrebbe tornare utile il prossimo 8 febbraio, quando si aprirà il nuovo round negoziale a Ginevra.
La nuova costituzione
In Svizzera si dovrebbero affrontare i nodi politici, ma la Russia non ha perso tempo. Già ad Astana ha fatto circolare una bozza della nuova costituzione siriana. Solo una proposta che non vuole essere imposta a nessuno, assicurano con la cautela di rito i diplomatici russi. Ma i suoi contenuti indicano molto bene in che direzione si vuole muovere il Cremlino.
Secondo il documento, il presidente non deve necessariamente essere musulmano, può restare in carica per un solo mandato di 7 anni, è sempre a capo dell’esercito ma i suoi poteri sono ridotti a favore di un nuovo organo chiamato “Assemblea delle regioni”, non potrà più nominare i membri della corte costituzionale. Tutte misure mirate a ridurre lo strapotere di cui godeva finora il presidente: non sarà facile farle accettare ad Assad, che potrebbe impuntarsi e riprendere i bombardamenti. Viene poi rifiutato un sistema suddiviso per quote nella rappresentanza in parlamento e viene dato più potere agli organi amministrativi locali.
Questi punti vanno in direzione di una decentralizzazione dello stato, che ha il suo compimento nella concessione di larghe autonomie alle regioni curde, nel nord-est della Siria. Ai curdi viene assicurata uguaglianza di diritti e tutte le minoranze hanno il diritto di veder riconosciuta la propria lingua ufficialmente al pari dell’arabo. Dal nome dello stato siriano, che finora era “Repubblica araba siriana”, sparisce “araba”. Mentre continua l’intesa tra Russia e curdi, bisogna vedere come la prenderà la Turchia. Infine, la bozza di costituzione afferma che la sharia non può essere la sola fonte del diritto.