L’attuale presidente della Repubblica romena Klaus Iohannis appartiene alla minoranza tedesca di Transilvania. I sassoni (saşi) della Transilvania e gli şvabi del Banato hanno popolato per secoli le terre delimitate dall’arco carpatico, contribuendo allo sviluppo socio-economico della regione, e costruendo una florida micro-società, gelosa delle proprie tradizioni e della propria lingua. Essi furono oggetto della più grande compravendita di uomini avvenuta nel XX secolo. Contraenti dell’affare furono il governo della Germania ovest e quello comunista romeno. Questi gli antefatti della vicenda, necessari a chiarirne il contesto.
Nel 1943, a guerra ormai pienamente inoltrata, Romania e Germania firmarono un accordo in base al quale veniva permesso ai tedeschi di Romania di arruolarsi volontariamente nelle Waffen SS. Non furono pochi i sassoni e gli şvabi che optarono per questa scelta; molti di questi furono inviati a dirigere campi di concentramento, o a lavorare nelle strutture ad essi connesse. Famoso è il caso di Victor Capesius, nato a Sighişoara, laureato a Cluj, che divenne il direttore della farmacia del campo di concentramento di Auschwitz (la sua storia è narrata nel libro di un altro sassone, Dieter Schlesak, ne “Il farmacista di Auschwitz”).
A guerra terminata, la maggior parte degli arruolati nelle Waffen SS si stabilì in Germania e non fece ritorno in Romania, dove i sassoni rimasti entrarono nel mirino del partito comunista romeno. Considerati corresponsabili dei crimini nazisti, essi vennero deportati in campi di concentramento sovietici, dove moltissimi morirono. Dei 700.000 tedeschi registrati dal censimento romeno del 1930, nel 1948 ne restavano 400.000.
Negli anni successivi molti cercarono di emigrare nella Germania federale, sie per sfuggire alle angherie del regime che per ricongiungersi ai familiari rimasti in Germania. Il governo romeno capì di poter trarre un beneficio dal loro desiderio di fuga. All’inizio degli anni ’60 iniziarono dei contatti tra Bucarest e Bonn, e si aprì un canale di comunicazione non ufficiale. Il governo romeno avrebbe permesso l’emigrazione dei sassoni e degli şvabi rimasti dietro il pagamento di un compenso da parte della Germania ovest; la cifra variava a seconda degli studi dell’emigrante e della sua qualifica professionale. Per un laureato potevano essere richiesti più di 10.000 marchi (i laureati in discipline tecniche erano “più cari”). Per un lavoratore non qualificato ne “bastava” qualche migliaio. Il pagamento avveniva il più delle volte in contanti, o tramite bonifico bancario in un conto intestato alla Banca romena per il commercio estero.
La Romania guadagnava liquidità fresca, mentre la Germania ovest, in pieno boom economico, otteneva lavoratori che conoscevano già la lingua e la cultura tedesca, e che avrebbero fatto meno fatica ad integrarsi rispetto alla moltitudine di turchi che in quel momento entrava all’interno dei suoi confini.
Le negoziazioni erano portate avanti dall’avvocato Heinz Günther Hüsch per conto del governo tedesco, e da agenti della Securitate. Gli incontri si tenevano solitamente in una stanza dell’Hotel Ambasador di Bucarest, nella più totale riservatezza. Venivano redatte le liste dei partenti e si trattava il compenso per ognuno di loro. Tra il 1968 e il 1989 Hüsch trattò l’emigrazione di 240.000 etnici tedeschi, dando in cambio alla Romania tra l’1.5 e i 3 miliardi di marchi. La Securitate giocava tuttavia su più tavoli: gli agenti della polizia politica intascavano infatti anche i soldi degli stessi richiedenti che, ignari delle trattative dei due governi, pagavano migliaia di lei per velocizzare le operazioni di ottenimento del passaporto.
La triste storia è raccontata nel dettaglio nel documentario del 2014 realizzato da Răzvan Georgescu, intitolato Paşaport de Germania. Oggi in Romania vivono meno di 38.000 etnici tedeschi.