Man mano che la guerra in Siria diventava un mosaico di milizie foraggiate da potenze esterne, tra gli osservatori si è iniziata a far strada l’ipotesi di una prossima spartizione della Siria. Una divisione territoriale, con nuovi confini, staterelli o zone di influenza. Sulla costa da Aleppo a Damasco via Latakia un feudo di Assad (alawita, per chi sottolinea l’aspetto confessionale), un’entità curda nel nord-est più o meno riconosciuta a livello internazionale, un grande stato (sunnita) che abbracci il resto della Siria e l’Anbar iracheno, e via di questo passo. Da qualche parte ci sarebbero dei nuovi Sykes e Picot pronti a riscrivere i vecchi confini della regione. Ma per il momento la spartizione della Siria non è affatto territoriale.
Con un piccolo aiuto dagli amici
Se Assad e il suo regime non sono crollati è solo grazie agli aiuti militari dall’estero. Dal 2013 gli Hezbollah libanesi combattono in Siria. L’Iran ha mandato sempre più uomini, dai Pasdaran a reparti d’élite dell’esercito, fino a una miriade di milizie reclutate in Iraq che adesso contano decine di migliaia di combattenti. Infine l’intervento della Russia alla fine del 2015, che ha blindato politicamente il regime e gli ha consegnato vittorie decisive come quella di Aleppo lo scorso dicembre.
Un ruolo fondamentale, quello degli alleati di Assad. Che prima o poi passeranno all’incasso. Già oggi, politicamente, il regime non conta più nulla. L’ultima tregua, l’iniziativa dei colloqui di pace di Astana, sono tutte decisioni prese senza consultare Assad, che è obbligato a obbedire senza proferir parola. E pochi giorni prima del via ai colloqui ha firmato importanti contratti con Teheran e Mosca.
L’Iran va all’incasso
È il primo di una serie di contratti, probabilmente molto più lunga, con cui Assad inizia a svendere il paese. D’altronde è l’unica moneta di cui dispone e non può dire di no. Così il 17 gennaio Iran e Siria hanno firmato 5 accordi economici, alcuni di estrema importanza. Su tutti spicca quello relativo alle telecomunicazioni, ambito strategico il cui valore va ben al di là dell’economia: Teheran ottiene la licenza per operare nel settore della telefonia mobile siriana. In Iran questo settore è largamente controllato dai Pasdaran. Saranno quindi le Guardie della rivoluzione ad accaparrarsi questa fetta della torta, aumentando il controllo su Damasco.
Assad ha poi regalato all’Iran i diritti di estrazione di fosfati dal sito minerario di Sharqiya e 1.000 ettari di terreno destinati a ospitare terminal di gas e petrolio. Altri accordi seguiranno, visto che negli ultimi 4 anni Teheran ha sostenuto la Siria con qualcosa come 4,5 miliardi di dollari. E guarda già con attenzione alla rete di infrastrutture del paese da rimettere in sesto. Come per la telefonia, anche il settore delle costruzioni iraniano è in mano ai Pasdaran.
La Russia pensa alle basi
Negli stessi giorni anche Mosca ha firmato accordi importanti, ma in ambito militare. La Russia si è assicurata il possesso della base navale di Tartus e dell’aeroporto militare di Hmeymim per 49 anni (rinnovabili di altri 25). A Tartus, che verrà ingrandita, potranno attraccare fino a 11 navi russe, incluse unità a propulsione nucleare. Il mantenimento di queste basi era in cima alle priorità russe ed è uno dei motivi dell’intervento militare del 2015.
L’Iran è più concentrato sul consolidamento dei collegamenti tra Siria e Libano, a tutto vantaggio di Hezbollah. Un esito che Israele giudica disastroso, infatti nelle ultime settimane ha bombardato più volte possibili centri logistici dei miliziani libanesi a Damasco, come già ha fatto più volte in passato. La Russia invece sembra guardare più al Mediterraneo. Oltre a Tartus, Mosca sarebbe intenzionata a ottenere basi navali in Egitto e nella Cirenaica (est della Libia). Entrambi fanno perno sulla Siria, paese sempre più a sovranità limitata. E si iniziano a spartire le spoglie di un regime ormai inesistente.