BIELORUSSIA: I limiti dell’approccio dell’Unione Europea

Se dal 1989 ad oggi l’Unione Europea ha inglobato una parte consistente dell’ex blocco socialista, ciò che ancora rimane ancor al di fuori dei confini dell’Unione è sottoposto ad una crescente disputa con Mosca. Vi è tuttavia un soggetto del “vicinato condiviso” che non ha mai avuto particolari attenzioni da parte di Bruxelles, né permesso positivi sviluppi nei reciproci rapporti: la Bielorussia. Al di là dei (molti) limiti interni al Paese stesso, vale la pena per una volta volgere lo sguardo all’UE, cercando di capire quali siano le criticità del suo approccio verso Minsk.

In primo luogo, un freno alla efficace europeizzazione della Bielorussia è da vedersi nell’attitudine paternalistica dispiegata dall’Unione. Un rapido sguardo ai documenti ufficiali di Bruxelles, pieni di ingiunzioni e implicite marche di inadeguatezza dello stato socio-politico del Paese, rende chiaro come la relazione con Minsk si basi sulla presunzione di un minor status morale di quest’ultima, una condizione che Bruxelles intende correggere tramite l’espansione dei propri principi di diritto e standard democratici. Ovviamente, un tale atteggiamento non è nuovo all’UE, né tantomeno riservato alla sola Bielorussia. Ciò nondimeno una simile strategia forma un pregiudizio politico nei confronti della Bielorussia che, per quanto possa essere fondato, entra in contrasto con i principi di eguaglianza sovrana e non-discriminazione così a lungo ventilati – non senza malizia – dalle autorità bielorusse, e considerati imprescindibile precondizione per lo sviluppo di qualsiasi relazione significativa.

In aggiunta a questa dissonanza di vedute in merito ai modelli politici ritenuti adeguati, un ulteriore ostacolo sembra essere originato da un “freddo interesse” dell’UE verso la Bielorussia. A ciò hanno contribuito sicuramente il peso economico trascurabile di Minsk, e la sua rilevanza politica di second’ordine. Se ciò non bastasse, le distanze tra i due sistemi sono state aumentate anche dal riconoscimento da parte di Bruxelles che i legami Minsk-Mosca siano e probabilmente saranno ben saldi, così come una sorta di frustrazione da parte dell’Unione per i ripetuti fallimenti nel promuovere, invano, un cambiamento interno al Paese. Risultato congiunto di questi fattori è stato il ridimensionamento dell’entusiasmo dispiegato da Bruxelles nelle proprie relazioni con il vicinato orientale.

A questi problemi bilaterali si aggiungono altri fattori di natura globale che impattano negativamente sull’efficacia dell’azione dell’UE – invero non solo in relazione alla Bielorussia. Tra di essi vanno sicuramente citate le minacce terroristiche e le divergenze interne tra Stati membri ma anche la riattivazione del divario Est-Ovest con la sua retorica della nuova Guerra Fredda ha giocato un ruolo negativo. Questo ed altro contribuisce ad attrarre altrove lo sguardo dell’Unione e ad assorbirne risorse e volontà, così portando alla stagnazione dei già mediocri rapporti con Minsk.

In un contesto simile, l’abbandono delle sanzioni contro alcune personalità bielorusse da parte dell’UE fallisce nel promuovere solide prospettive di fiducia reciproca poiché non accompagnato da un più ampio cambiamento qualitativo delle relazioni. Tra le altre, ancora pende quella che per Minsk è un’aggravante per cui nei pochi contesti cooperativi UE-Bielorussia esistenti – come il Partenariato Orientale -, ad essere favorite come interlocutori privilegiati siano opposizioni parlamentari e organizzazioni civili. Come nel caso emblematico del “Dialogo per la Modernizzazione”, nella percezione delle autorità di Minsk le attenzioni dedicate da Bruxelles alla società civile influirebbero negativamente sulla propria legittimità, implicitamente discreditando il percorso politico scelto per il Paese. Stando così le cose, le relazioni vengono ridotte al minimo.

Mettendo a repentaglio lo status quo politico, ogni collaborazione che si fondi su tali presupposti è rigettata o ostruita dalle elite di Minsk. Dal lato dell’UE, d’altronde, gli spiragli per intravvedere un cambiamento nella strategia politica verso la Bielorussia sembrano inesistenti, né tantomeno richiesti. Ciò almeno fintanto che priorità globali, disequilibri interni all’Unione e dissonanze tra le composizioni politiche dei due attori continuino a perdurare nella loro attuale forma.

Questo articolo é frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association ed é pubblicato anche su PECOB, Università di Bologna.

Chi è Nicolò Fasola

Nato nel 1993, è dottorando presso il Dipartimento di Studi Politici e Internazionali dell'Università di Birmingham, nel Regno Unito. In passato ha lavorato presso l'Allied Command Operations della NATO (ACO/SHAPE), l'Istituto di Relazioni Internazionali di Praga (IIR) e l'Ambasciata d'Italia in Estonia. Inguaribile poeta.

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