La UEFA ha annunciato di aver squalificato per le prossime tre stagioni il Partizan Belgrado da tutte le competizioni europee, per aver violato le regole del Fair Play Finanziario. Il club serbo, secondo quanto dichiarato dall’organo di controllo finanziario della UEFA, sarebbe debitore di 2,5 milioni di euro, in particolare alle autorità sociali e fiscali serbe. È la terza volta che la squadra, campione di Serbia nel 2015, infrange le regole finanziarie della UEFA, e già nel 2013 era stato sospeso in circostanze simili, anche se in quel caso la squalifica era durata una sola stagione.
Non è un periodo florido per il calcio serbo: settimana scorsa il sindacato mondiale dei calciatori FIFPro ha caldamente sconsigliato ai suoi associati di firmare contratti con club serbi durante la finestra dei trasferimenti invernali. La raccomandazione è una conseguenza della decisione della federcalcio serba di rimuovere dagli incarichi alcuni membri chiave della camera di risoluzione delle dispute tra giocatori e club e di modificare le modalità di accesso a tale strumento di tutela, alzandone il costo per i giocatori. Secondo il Segretario Generale FIFPro Theo van Seggelen, si tratta di «una violazione flagrante dei diritti fondamentali dei giocatori di calcio in Serbia, che ora stanno giocando a tutti gli effetti in un ambiente senza legge».
Questo avviene in un ambiente in cui la FIFPro ha denunciato condizioni di lavoro in peggioramento: il 68% dei giocatori in Serbia non ricevono lo stipendio in tempo, mentre l’89% dei giocatori trasferiti hanno ricevuto pressioni perché accettassero di essere venduti.
Il mondo del calcio serbo è, come in molte altre nazioni ex comuniste, un territorio in cui la transizione da un regime di economia centralizzata è farraginosa e ha creato diverse aree grigie, clientelismi e meccanismi opachi. Diversi club non sono in grado di pagare i propri stipendi e, nonostante il governo si stia impegnando da anni per promuovere la privatizzazione dei club e garantire maggiore trasparenza, le resistenze sono tante ed evidenziano gli interessi torbidi dei consigli di amministrazione.
A bloccare il processo è il diritto costituzionale alla libertà di associazione, che impedisce che un’associazione di cittadini venga costretta a trasformarsi in una società per azioni: il processo di privatizzazione è quindi possibile solo se deciso dal consiglio di amministrazione del club stesso. Situazioni simili si riscontrano anche in altri paesi balcanici, si pensi al caso Steaua Bucarest in Romania, al caso CSKA Sofia in Bulgaria o alla figura di Zdravko Mamić della Dinamo Zagabria in Croazia.
Gli stessi meccanismi che sembrano essere alla base della pesante situazione debitoria del Partizan. La domanda che in molti fanno, da diversi anni, è come possa un club con uno dei migliori settori giovanili al mondo, in grado di lanciare talentini direttamente nelle rose delle big di mezza Europa, a non ripagare i propri debiti. Nel suo libro Grobar, James Moor spiega che la dirigenza è spesso accusata di deviare i proventi del club nel pagamento di loro debiti privati, se non direttamente nelle casse del Partito Socialista serbo, ancora influente nella dirigenza del Partizan, se pensiamo che l’attuale presidente Milorad Vucelić è un ex funzionario del partito, in passato molto vicino a Slobodan Milošević.
Il Partizan ha spese di acquisto limitate: solo in due casi negli ultimi dieci anni il valore del trasferimento in entrata ha superato il milione di euro e gran parte dei giocatori viene prelevata dall’efficientissimo settore giovanile, per poi essere venduta ancora giovanissima alle big europee. Croce e delizia: se da una parte questo metodo è la fortuna del “sistema Partizan”, dall’altro partenze così premature hanno determinato un crollo del valore tecnico della squadra (e dell’intero campionato serbo), facendo calare anche interesse ed entrate di botteghino.
Tra i trasferimenti record degli ultimi dieci anni risultano infatti nomi del calibro del difensore centrale Stefan Savić (al Manchester City per 12 milioni di euro), dell’ala Lazar Marković (al Benfica per 10 milioni di euro), della punta Stevan Jovetić (alla Fiorentina per 8 milioni di euro), del centrocampista Zoran Tošić (al Manchester United per 7 milioni di euro), dell’ala Adem Ljajić (alla Fiorentina per 6,8 milioni di euro) e della punta Aleksandar Mitrović (all’Anderlecht per 5 milioni di euro). Nessuno di loro aveva compiuto 22 anni nel momento del trasferimento. Gli introiti delle ultime due stagioni superano agevolmente gli 8 milioni di euro, grazie alle cessioni di giocatori del calibro di Nikola Ninković (che aveva deciso di trasferirsi al Genoa piuttosto che al Napoli proprio per aiutare il club) e Saša Lukić, entrambi approdati in Serie A.
A questo vanno aggiunti i proventi della partecipazione alle competizioni europee: se quest’anno il Partizan si è fermato immediatamente contro il Zagłębie Lubin in Europa League, dal 2009/10 ha raggiunto quattro volte la fase a gironi di Europa League e una volta la fase a gironi di Champions League. Solo nelle due scorse stagioni il Partizan ha guadagnato 3,7 milioni dall’accesso alla fase a gironi e 1,3 milioni per i risultati ottenuti nel girone (due pareggi nel 2014/15, tre vittorie nel 2015/16).
Foto: Fudbalski Klub Partizan (Facebook)