SIRIA: Chi vince e chi perde con la tregua voluta da Russia e Turchia

Quella in Siria è una guerra in cui ogni tregua è annunciata a favor di telecamera, dura poche ore prima che si ricominci a sparare, e ha una coda agonizzante di lunghezza variabile. A volte giorni e a volte settimane, secondo la convenienza del momento. Non fa eccezione il cessate il fuoco siglato lo scorso 28 dicembre. L’accordo è stato violato centinaia di volte nell’arco di pochi giorni e da entrambe le parti. Spesso si è trattato di scontri a fuoco di poco conto, ma non sono mancate offensive vere e proprie e le conseguenti catastrofi umanitarie.

Nessuna tregua per l’acqua

È il caso di Wadi Barada, nord-ovest di Damasco. Lì i ribelli sono stati attaccati dal regime e dagli Hezbollah libanesi anche con pesanti bombardamenti. Due gli obiettivi: sgomberare l’importante via di collegamento con il Libano e riprendere il controllo delle principali fonti di acqua potabile per i 5,5 milioni di abitanti della capitale. Fonti preziose, che sono state sepolte da un bombardamento del regime il 23 dicembre. Assad invece accusa i ribelli di averle contaminate con del diesel, ma le strutture di captazione appaiono senza dubbio distrutte da bombe. La tregua non ha interrotto i combattimenti.

L’Onu – adesso guidato da Antònio Guterres – non si è sbilanciato in merito, salvo ammonire che costringere alla sete milioni di persone è un crimine di guerra. Ma nel conflitto siriano il diritto internazionale vale ancor meno dell’inchiostro con cui si firmano le tregue, quindi eventi come questo non guadagnano nemmeno titoli nelle prime pagine dei giornali.

Basta Onu, meglio l’amico Kazakhstan

Ma questa tregua sarà ricordata perché segna un’importante novità per la diplomazia: escono gli Stati Uniti, entra l’irrequieta Turchia. L’intesa infatti l’hanno raggiunta Mosca e Ankara, Obama non ci ha messo becco. Nei quasi 6 anni di guerra in Siria non era mai successo. Non solo: su queste basi dovrebbero partire nuovi negoziati di pace. Non più sotto il cappello delle Nazioni Unite bensì centrate sull’asse Russia-Turchia-Iran. L’Onu comunque ha dato la sua benedizione e gli Usa si sono affrettati a giudicarlo un passo positivo per la soluzione politica del conflitto. Il primo round si dovrebbe tenere entro fine gennaio ad Astana, in Kazakhstan.

Non è un formato del tutto inedito. La prova generale era andata in scena poche settimane prima, nelle fasi finali dell’assedio di Aleppo. L’ultima sacca ribelle è stata evacuata grazie a un accordo tra Erdogan e Putin. Sono state fasi caotiche, di cui non è sempre facile seguire il filo. Eppure qualche punto sta diventando più chiaro. Uno su tutti, la totale e oramai conclamata inconsistenza del regime di Damasco. Assad non conta più nulla, i suoi alleati nemmeno si scomodano a condividere con lui le decisioni più importanti e gli mettono davanti scelte obbligate quando i giochi sono ormai fatti. Così è stato ad Aleppo, così è stato anche per quest’ultima tregua.

Le giravolte della Turchia

Emerge poi sempre più chiara la giravolta completa della Turchia. Di Erdogan si possono pensare molte cose, ma gli va dato atto di saper annusare l’occasione giusta e coglierla con tutto il pragmatismo possibile. In questi mesi la Turchia, grande sostenitrice del fronte ribelle, stava andando incontro ad una cocente sconfitta in Siria. Quasi fuori tempo massimo Ankara ha riscritto la sua politica estera, tornando a braccetto con Putin e aprendo a una fase di transizione con Assad ancora presidente. Resta da vedere quanti e quali vantaggi effettivi, tutt’altro che scontati, la Turchia riuscirà a trarre da questo riallineamento.

In parallelo è partita qualche scudisciata agli Usa, con un crescendo che è arrivato a mettere in dubbio la disponibilità della base di Incirlik per i voli della Coalizione internazionale anti-Isis (misura seria) e a bollare gli Usa come paese sponsor del terrorismo (misura di esclusiva propaganda: nulla vende bene e crea consenso in patria come un complotto americano, declinato come appoggio all’Isis o ai curdi siriani poco cambia).

La Russia non ha vinto

Depennati gli Usa e messa tra parentesi la Turchia, prima di andare per esclusione e pensare che il vero vincitore sia la Russia occorre guardare meglio i fatti. L’unico punto di forza in più rispetto a prima della tregua, per Mosca, è il credito guadagnato con Erdogan. La Turchia si è appesa al Cremlino e dovrà cedere qualcosa in cambio. Putin proverà ad approfittarne a tempo debito, non c’è dubbio. Oltre a ciò, nulla è davvero cambiato. La guerra continua e Mosca deve proseguire l’impegno militare. In un anno e 3 mesi ha conquistato Aleppo e indebolito i ribelli ma resta ancora da prendere tutta la provincia di Idlib (dove sono stati trasferiti i combattenti residui di Aleppo) e non sarà cosa breve. Intanto l’Isis ha dato un colpo di coda e si è ripreso Palmira, vero segno che nonostante tutto l’apporto russo resta scarso e fragile se misurato non su un solo fronte ma sull’intera Siria.

Da pochi giorni Mosca ha annunciato (per la seconda volta) il disimpegno. Andrà via la portaerei Kutznetsov: il suo arrivo lo scorso novembre voleva essere uno show the force, invece ha fatto ridere tutto il mondo con quei motori fumosi e i frequenti incidenti. Infine un punto che deve far riflettere: è vero che con i colloqui di Astana la Russia potrà imporre una qualche parvenza di pacificazione, ma restano irrisolti tutti i problemi reali. La tregua è stata raggiunta perché i ribelli dovevano accettare per riorganizzarsi, non perché siano ben disposti a scendere a patti. Infatti ha già iniziato a scricchiolare dopo appena una settimana. La Turchia, poi, potrebbe non avere abbastanza ascendente sui ribelli. Ma se anche si arrivasse in fretta a trovare una quadra, sarebbe con buona probabilità una “pace irachena”: tutti pronti a tirar di nuovo fuori le armi al momento opportuno.

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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