Andy Warhol e la terra perduta di Rutenia

Ondrej Varchola e Júlia Justína Zavacká, entrambi originari del villaggio di Miková, attualmente in Slovacchia e all’epoca parte dello sconfinato Impero austro-ungarico, si sposarono nel 1909 e poco dopo emigrarono negli Stati Uniti. Partì prima il marito, Júlia Justína rimase ad accudire la loro primogenita che morì in tenera età e poi lo raggiunse. Quasi subito dopo l’arrivo in America, Ondrej americanizzò il proprio nome in Andrej Warhola e insieme alla moglie mise al mondo altri tre figli: Paul, John ed Andrew, detto Andy. Andy Warhol, per la precisione.

I due coniugi giunti dalla vecchia Europa e stabilitisi a Pittsburgh certo non avrebbero mai  immaginato di dare i natali, il 6 agosto 1928, al ruteno più famoso al mondo. Perché Miková, la città da cui provenivano i genitori di Warhol si trovava precisamente in Rutenia, una regione scomparsa, che affonda le sue radici nel mito e si colloca approssimativamente nel territorio dei Carpazi nord-orientali, suddiviso, ai tempi degli Asburgo, tra Ungheria, Galizia e Bucovina, e abitato prevalentemente da ucraini. L’origine del nome però è ancora più antica, si tratterebbe della versione latina, Ruthenia, della Rus’ di Kiev, come si legge per la prima volta negli Annali di Augusta del XII secolo.

Quando quest’area passò sotto la giurisdizione della Confederazione polacco-lituano, con il termine ruteni iniziarono a essere indicate le popolazioni slave cristiane di rito bizantino. Accomunati più dal credo religioso che da altri legami storico-culturali, i ruteni furono identificati soprattutto per le loro oscillazioni tra i patriarcati di Costantinopoli e Mosca e qualche apertura verso Roma. Nel 1596, con il trattato di Brest-Litovsk, le chiese cristiane di rito orientale sancirono la definitiva unione con Roma, confermata a Užhorod nel 1643, tanto da essere definita Chiesa uniate. Questi passaggi formali aprirono una conflittualità con la Chiesa ortodossa che raggiunse il culmine con il riassorbimento forzato nell’alveo dell’ortodossia imposto dallo zar Nicola I nel 1839, dopo la prima spartizione della Polonia, in seguito alla quale gran parte del territorio della Confederazione polacco-lituano cadde sotto l’Impero russo. Molte più libertà mantennero i ruteni che si trovarono, come gli antenati di Andy Warhol, nei territori sottoposti alla giurisdizione asburgica.

Ma la storia della Rutenia e dei ruteni è più complessa di quanto possa apparire a una prima impressione. Storia di un nome oltre che di persone, incontra stratificazioni e sovrapposizioni di significati che si intrecciano tra di loro. Anche la definizione della lingua da loro parlata presenta alcune controversie: lingua slava orientale, per alcuni studiosi gode di una statuto indipendente, per altri sarebbe soltanto una variante dell’ucraino.

Durante il periodo della Confederazione lituano-polacca con il toponimo Rutenia vennero indicati diversi territori: Rutenia bianca, all’incirca l’attuale Bielorussia, Rutenia nera, parte della Bielorussia, Rutenia rossa, sottile fascia di terra situata fra Polonia e Ucraina, e Rutenia subcarpatica, con capoluogo Užhorod, oggi regione dell’Ucraina, situata a sud dell’oblast’ di Leopoli. Tanti sinonimi di Russia, in definitiva, utilizzati dai polacchi per definire terre dai rarefatti confini identitari.

La città di Užhorod venne ricondotta sotto il regno di Ungheria a partire dal XI secolo; successivamente rientrò nell’alveo dell’Impero asburgico. Nel 1919, alla conclusione della prima guerra mondiale e in seguito al Trattato del Trianon, la città e il suo territorio, definito Rutenia carpatica o Subcarpatica, passarono sotto la giurisdizione della neonata Cecoslovacchia, all’interno di un progetto di ridefinizione dei confini nazionali, che intendeva essere di lunga durata. Passarono invece poco meno di vent’anni, invece e la Rutenia subì ulteriori mutamenti. In seguito al Patto di Monaco, siglato il 30 settembre 1938, che vincolò la Cecoslovacca a cedere i Sudeti alla Germania nazista, la Rutenia si autodeterminò come Stato indipendente per il breve periodo compreso dal 9 ottobre al 2 novembre. In quella data lo Stato di Rutenia e Užhorod, sua capitale, furono ceduti all’Ungheria. Dopo l’invasione nazista di quanto rimaneva della Cecoslovacchia, il 15 marzo 1939, la Rutenia si cimentò in un secondo tentativo di indipendenza, che durò lo spazio di un solo giorno.

Alla fine della seconda guerra mondiale, la gran parte della Rutenia con la sua storica capitale furono dirottate sotto la giurisdizione dell’Unione sovietica e, dal 1991, dell’Ucraina indipendente. La città dei genitori di Warhol, Miková, insieme ad altri pochi territori, rimase alla Cecoslovacchia.

Spartiti nei secoli attraverso imperi e stati differenti, i ruteni, che oggi risiedono per la maggior parte in Ucraina, hanno avuto poche occasioni per distinguersi dai propri vicini di territorio, se non in termini negativi. In gran parte destinati a perpetuare di padre in figlio il mestiere di contadino, spesso oppressi dai proprietari terrieri polacchi, i ruteni furono fra le popolazioni più indigenti e meno tutelate del variegato caleidoscopio imperiale asburgico. Probabilmente anche per questo, il risveglio nazionale, che nell’Ottocento coinvolse pressoché tutte popolazioni residente negli imperi europei, arrivò piuttosto tardi per i ruteni. Solo nel 1834 venne fondata la prima società per la diffusione della loro cultura, che rivendicava perlopiù migliori condizioni di vita e lavoro. Dopo il 1848, il ministro degli Interni, Franz Seraph Stadion, sostenitore di ampie autonomie amministrative pur nella conservazione della centralità del potere imperiale, si adoperò in Bucovina e Galizia per migliorare la situazione dei ruteni.

Brevi momenti di autocoscienza e piccole conquiste, si alternarono a lunghi periodi di silenzio e oblio su chi fossero i ruteni, cosa chiedessero, in cosa credessero. Molto tiepidi nelle rivendicazioni territoriali e statali, non possono certamente essere accusati di aver provocato guerre o di essersi macchiati di violenze mirate a finalità di autoaffermazione nazionaliste. È piuttosto in ambito religioso che i ruteni hanno dimostrato maggiore capacità di resistenza e autonomia, nonostante le persecuzioni dello zar Nicola I e le vessazioni, culminate spesso con arresti e deportazioni, durante i primi tempi della giurisdizione sovietica, che impose a molti il passaggio sotto il Patriarcato di Mosca. Il metropolita di Leopoli Josyp Slipyj, dopo una pluriennale carcerazione, fu liberato nel 1963 e costretto ad abbandonare il paese. Nel 1965 papa Paolo VI lo elevò al titolo di cardinale, ma solo nel il 1991 la Chiesa uniate in Ucraina ha potuto riorganizzarsi liberamente.

Molto recentemente i ruteni, sotto la guida del vescovo ortodosso di Užhorod, Dimitrij Sidor, hanno iniziato ad avanzare rivendicazioni di autonomia più politiche che religiose all’interno dello Stato ucraino. Il 25 ottobre 2008 il vescovo ha radunato a Mukachevo, sul confine con l’Ungheria, 109 delegati per discutere la firma dell’atto costitutivo della Repubblica transcarpatica russa nell’ambito dell’Ucraina. Ai discorsi di autonomia, che nelle intenzioni di Sidor non prevedono richieste secessioniste, si somma una dichiarata insofferenza verso le politiche di Kiev e una vicinanza a Mosca, che si concretizza con pretese di maggior attenzione e sostegno da parte di Putin contro presunte discriminazioni.

Il movimento inaugurato dal vescovo di Užhorod non ha avuto grande seguito e le iniziative si sono perse negli anni successivi, travolte da avvenimenti ben più gravi e urgenti per l’Ucraina, sospesa fra le pressioni di Mosca, dissidi interni e forze progressiste aperte all’Europa.

E ancora oggi la vocazione al silenzio e alla ibridazione pare essere il tratto costitutivo dei ruteni.

Lo stesso Andy Warhol è conosciuto universalmente come figlio degli Stati Uniti e cittadino del mondo, ironico cantore delle potenzialità democratiche del consumo di massa, ma quasi nessuno conosce o ritiene che siano importanti le sue origini familiari e culturali e lui stesso non le menzionò se non raramente. Eppure un legame forte con le sue radici, una sorta di cordone ombelicale quasi fisico lo ha legato per lunghissimo tempo alle sue origini attraverso la madre. Dopo i primi anni di faticoso assestamento a Pittsburgh, Júlia Justína Zavacká seguì il figlio a New York negli anni cinquanta. Sua fedele collaboratrice, ex contadina, che sbarcò il lunario i primi tempi confezionando fiori di carta, scrisse i testi del figlio e a volte firmò i suoi lavori. Espresse un sostegno totale, a tratti morboso, che istituì fino alla fine dei giorni di Warhol un legame tacito quanto inscindibile con il passato da cui proveniva.

 

 

Chi è Donatella Sasso

Laureata in Filosofia con indirizzo storico presso l’Università di Torino. Dal 2007 svolge attività di ricerca e coordinamento culturale presso l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino. Iscritta dal 2011 all’ordine dei giornalisti. Nel 2014, insieme a Krystyna Jaworska, ha curato la mostra Solidarność nei documenti della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano. Alcune fra le sue ultime pubblicazioni sono: "La guerra in Bosnia in P. Barberis" (a cura di), "Il filo di Arianna" (Mercurio 2009); "Milena, la terribile ragazza di Praga" (Effatà 2014); "A fianco di Solidarność. L’attività di sostegno al sindacato polacco nel Nord Italia" (1981-1989), «Quaderni della Fondazione Romana Marchesa J.S. Umiastowska», vol. XII, 2014.

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