di Matteo Zola
I dati possono considerarsi attendibili, il partito musulmano moderato (Akp) del premier Erdogan si conferma primo partito del Paese conquistando il 49,9% dei consensi. Era un risultato atteso, e forse un poco più contenuto di quanto previsto. Con questi risultati l’Akp conquista 326 seggi su 550, sufficienti per un governo monocolore ma non abbastanza per mettere mano alla Costituzione senza passare dal dialogo con le opposizioni.
Il partito kemalista repubblicano (Chp), che si potrebbe definire di “sinistra nazionalista”, guidato da Kemal Kılıçdaroğlu, erede dell’esperienza di Ataturk ed espressione dei militari, si è fermato al 25,9%: un buon risultato se paragonato alle elezioni precedenti (nell’immagine è possibile vedere i risultati delle precedenti tornate elettorali del 2007 e del 2002). La tenute del Chp si spiega con un buon successo nelle aree egee, dove conquista Smirne, terza città del Paese dopo Ankara e Istanbul, e della Tracia. L’area “europea” della Turchia resta infatti fedele alla lezione kemalista ad eccezione di Istanbul dove il partito di Erdogan vince con più del 50% nelle tre circosrizioni in cui è divisa la città.
Il partito d’azione nazionale (Mhp), di estrema destra nazionalista, già braccio politico dei “Lupi grigi” (il movimento nazionalista anti-comunista responsabile di attentati dentro e fuori la Turchia), ottiene un 12,9% ma in alcune delle 81 province è persino secondo partito. Forte l’affermazione degli indipendenti (Bgmz) che si affermano, con punte del 79%, nelle regioni orientali impedendo al partito di Erdogan una vittoria plebiscitaria.