ROMANIA: Elezioni, vincono i socialisti. Ma il loro leader fu condannato per frode

I cittadini romeni sono stati chiamati a votare per il rinnovo del parlamento. Dopo un anno di governo tecnico, il Partito social-democratico (PDS) ha vinto le elezioni ottenendo il 45% circa dei voti. Un successo che segna il ritorno del PSD al potere dopo che il 4 novembre scorso, all’indomani del rogo del Colectiv Club di Bucarest che causò la morte di 64 persone, l’allora premier Victor Ponta dovette rassegnare le proprie dimissioni sull’onda di massicce proteste di piazza.

La vittoria del PSD

La vittoria del PSD è dunque figlia della mancanza di alternative, in un contesto politico sempre più lontano dalle esigenze delle persone. Ma è anche il risultato della speranza di cambiamento da parte dei ceti più poveri, colpiti dalla crisi economica e dalla disoccupazione, che i socialdemocratici promettono di rappresentare. Il PSD ha infatti promesso di rilanciare l’occupazione e reintrodurre un sistema di tassazione progressivo al posto dell’odiata flat tax introdotta dalla destra. La vittoria del PSD si deve anche alla collaudata macchina elettorale e alla capillare presenza sul territorio che ne fa l’unico vero partito organizzato del paese.

L’attuale leader del PSD, Liviu Dragnea, ha dichiarato la vittoria del suo partito, una vittoria che va oltre la condanna per frode elettorale (in merito al referendum tenutosi per far cadere il presidente Basescu) comminata allo stesso Liviu Dragnea, che gli è costata l’estromissione dalla politica per due anni. Al suo ritorno è subentrato a Ponta dando al partito una marcata impronta populista. Qualora dovesse essere lui il futuro primo ministro, il paese sarebbe nelle mani di un condannato per un reato che riguarda la manipolazione delle regole democratiche. Non un gran curriculum per un primo ministro, anche per questo è possibile che non sarà lui il futuro premier.

Il problema della corruzione

Non a caso il tema dominante della campagna elettorale è stato, per tutte le forze politiche, quello della corruzione. Un tema sul quale si sono profuse promesse ma su cui nessuna delle forze politiche sembra davvero intenzionata a lavorare. Più volte i cittadini hanno protestato contro la cleptocrazia, più volte hanno lamentato scarsi interventi contro quella che è la vera piaga del paese. Un paese che, pur crescendo a livello economico, si trova ad essere uno dei più poveri d’Europa. Per questo i cittadini romeni manifestano da anni – nell’assordante silenzio dei media occidentali – chiedendo più democrazia e maggior benessere. A caratterizzare le proteste è stato lo spontaneismo civico, marcatamente apartitico, che ha coinvolto diversi settori della società romena segnandone la maturazione politica. Il palazzo ha finora disatteso le richieste della piazza, e questo risultato elettorale deve fare i conti con un’affluenza appena del 40%, chiaro segno del malcontento generale.

Nicușor Dan, il mancato ago della bilancia

Il tema della corruzione è stato cavalcato soprattutto dall’Unione per la Salvezza della Romania (Uniunea Salvați România, USR) di Nicușor Dan, docente di matematica e fondatore della Scuola normale superiore di Bucarest. Dan, attivista civico fin dai primi anni Duemila, per due volte candidato a sindaco di Bucarest, ha fatto della trasparenza e dell’onestà politica i suoi punti forti. In campagna elettorale ha dichiarato di “voler essere quello che decide il primo ministro”, e i sondaggi lo attestavano tra il 9% e il 19%. Una forbice molto larga, ma i risultati sono stati inferiori alle attese. Il suo partito ha infatti raccolto il 9% circa, attestandosi terza forza del paese, ma comunque non abbastanza per diventare l’ago della bilancia della politica romena.

A destra, una sconfitta pesante

Il Partito nazional-liberale (PLN), che dal 2014 ha visto confluire tra le sue fila anche il Partito democratico liberale (PDL), ha raccolto appena il 21% dei voti. Poco per il principale partito di destra del paese, che annovera tra le sue fila anche il presidente della repubblica, Klaus Iohannis. Il calo di consensi si deve in parte allo stesso Iohannis accusato di immobilismo da parte dell’opposizione. Il tonfo elettorale si deve anche all’appoggio del governo tecnico di Dacian Cioloș che, nell’ultimo anno, ha guidato il paese. Un governo che si è distinto per il rifiuto del populismo, e che ha goduto del favore dell’opinione pubblica, senza però riuscire a portare concreti cambiamenti nel paese.

Un governo social-liberale?

I liberali di ALDE, guidati dall’ex premier Popescu-Tăriceanu, hanno ottenuto un 6,5% circa dei voti che, insieme al 45% dei socialisti, potrebbe dar vita a una maggioranza di governo stabile sia alla camera che al senato. L’ipotesi, che circolava già prima del voto, sarà forse confermata nelle prossime ore. La palla passa ora al presidente Iohannis che dovrà incaricare il partito vincente di formare una maggioranza di governo.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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