Anche quest’inverno, al calare delle temperature e all’accorciarsi delle giornate, le repubbliche baltiche puntualmente guarderanno con disappunto alla firma apposta nel 2001 assieme a Russia e Bielorussia al cosiddetto accordo BRELL, così perpetuando il funzionamento della griglia sovietica di conduzione elettrica che ad anello congiunge i cinque Paesi e ne pone gli interruttori nelle mani del Cremlino.
A quel tempo, d’altronde, non si sarebbe potuto fare altrimenti: le risorse e il tempo per recidere la dipendenza da Mosca non erano disponibili. Solo dopo il doppio ingresso in Unione Europea e NATO nel 2004 i Baltici poterono concretamente aspirare a questo ed altri progetti, riconducendoli allo slogan del “ritorno all’Occidente”.
Desideri e realtà, però, non sono facili da conciliare e l’uscita dal BRELL pare esserne emblematica. Infatti, i termini legali dell’accordo, pur garantendo la possibilità di mutare posizione rispetto allo stesso in base a considerazioni di natura domestica, non specificano né quali considerazioni siano ammesse né le specifiche procedure da seguire per finalizzare il recesso stesso.
Estonia, Lettonia e Lituania hanno più volte ribadito l’incoerenza tra direttive europee in ambito energetico e la realtà del BRELL. Lo status quo mina infatti la piena attuazione del “Terzo Pacchetto Energia” dell’aprile 2009 nella sua parte concernente il rafforzamento del mercato energetico interno. Le repubbliche baltiche rimangono tutt’oggi tagliate fuori dalla connessione delle griglie elettriche europee, arrecando danno a se stesse come all’Unione – a livello economico come in termini di integrazione e sicurezza.
Il BRELL demanda ogni decisione di recesso ad una separata sede negoziale in cui, per ovvie ragioni, i pesi politici in gioco sono sproporzionati: da soli, i tre paesi non sono in grado di contrastare le posizioni di Mosca, come più volte essi stessi hanno rimarcato. E’ per tale motivo che è stata richiesta la partecipazione dell’UE nelle discussioni, invocando i principi di sussidiarietà e solidarietà.
Dal punto di vista politico un intervento comunitario è lodevole in quanto sintomo di una più matura coscienza politica. Non solo rappresenterebbe un impegno concreto verso il processo di integrazione, ma gioverebbe anche dal punto di vista della sicurezza energetica – privando Mosca di uno degli interruttori per gestire il nord-est comunitario. Progetti come il Baltic Energy Market Interconnection Plan sembrano testimoniare la volontà di intraprendere un simile corso d’azione ma, nonostante i continui aggiornamenti del piano stesso, la recisione dell’anello BRELL non viene finalizzata.
D’altro canto, l’interesse della Russia è totalmente opposto, focalizzandosi sul mantenimento dello status quo. A tal fine l’amministrazione di Putin ha sollevato tre maggiori questioni: gli enormi costi impliciti nella ricostruzione del sincrono elettrico così spezzato; l’annosa faccenda di Kaliningrad, la quale diverrebbe una exclave energetica, tagliata persino dalla Bielorussia; e il fatto per cui un simile passo concretizzerebbe l’opposto della retorica Europea della cooperazione con la Russia: fintanto che esistono legami, perché tagliarli? Soltanto nel caso di una cospicua riparazione economica Mosca si dice aperta a contrattare.
L’attuazione di progetti come il Swedink e la partecipazione delle repubbliche baltiche al mercato energetico comune dei Paesi scandinavi certamente rappresentano passi avanti e gettano le basi per una più facile ri-sincronizzazione post-recesso. Tuttavia, la questione rimane ancora aperta e per ora congelata in uno stallo di interessi in contraddizione fra loro.
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association ed è pubblicato anche su PECOB, Università di Bologna.