di Claudia Leporatti
Economie alternative, esperimenti che almeno in piccola scala, mostrano i loro risultati. Un’intervista, due storie di esempi positivi nella campagna ungherese. “Due best practices da riprodurre anche altrove” come le definisce Gergely Kabaj, sociologo ed economista per la Pannon Elemző Iroda Kft., società specializzata in analisi regionale, sviluppo rurale e consulenza per lo sviluppo del territorio.
Decido di contattare Gergely quasi per caso. Scopro la storia di Belecska, villaggio ungherese rinato a vita nuova grazie a un programma di sviluppo rurale, mentre mi sto interessando ad un altro fenomeno locale, quel tipico “raccogli e paga” che inizia ogni estate allo spuntare delle prime fragole, portando nei campi centinaia di cittadini, armati di cestini per raccogliere e pagare ai contadini la frutta che si sono raccolti.
A Belecska però la raccolta la fanno gli abitanti del luogo e non per esportare e nemmeno per passare una domenica all’aria aperta. Belecska è paese che non arriva a contare quattrocento abitanti, collocato in una delle zone sottosviluppate dell’Ungheria. Di recente, ha fatto parlare di sé sulle
pagine dei giornali locali per essere diventato un esempio di efficienza e spinta occupazionale. Per capire la dimensione della svolta vissuta da Belecska, bastano due numeri. Il primo è l’impressionante tasso di disoccupazione del 32% che interessava il paesino nei primi anni Novanta, il secondo è l’attuale dato sulla disoccupazione, intorno al 6%. Certo, in un luogo tanto piccolo, i fattori ad influenzare questi valori possono essere i più disparati, ma la crescita occupazione non è stata affatto casuale, bensì frutto di un ambizioso programma lanciato nel 1998 per ridurre la dipendenza dai sussidi statali degli abitanti del paese. Nella storia di Belecska si uniscono pubblico e privato grazie alla coincidenza tra l’eccesso di piantine di fragole possedute da un imprenditore amico dell’allora sindaco Róbert Jakab e la vincita da parte del comune di un bando da 700.000 fiorini ad uso agricolo. Il paese acquista le piantine e le pianta nei vari campi del comune. I profitti arrivano dopo un anno di attività e crescono quando il modello viene esteso a coltivazioni di vari tipi di frutta ed ortaggi, su un territorio complessivo di 25 ettari.
Una formula che porta lavoro ai tanti cittadini di Belecska sprovvisti di occupazione e fa parlare di un piccolo esempio di economia sociale, modello sperimentato dalla Germania dell’Ovest nata nel secondo dopoguerra basato sulla cooperazione, sul consumo di risorse prodotte o coltivate in loco e sulla non-dipendenza dal welfare. L’altra storia, quella di Kisvejke, me la racconta Gergely ed è forse ancor più interessante. Protagonisti gli americani e gli albicocchi. Ma andiamo con ordine.
Gergely, hai da poco realizzato una ricerca intitolata “Analyzing locally initiated economic development programs” in cui analizzi il caso del paese di Belecska. Perchè è importante farlo conoscere?
La storia di Belecska mostra una possibile soluzione al grosso problema della disoccupazione. Verso la fine degli anni Novanta, questo paesino della bassa Transdanubia aveva un tasso di disoccupazione vicino al 40%. Adesso il dato è al 6%, dopo appena 13 anni.
Come si presentava Belecska, contea di Tolna, nel 1998?
Belecska era ed è un paese da 300-400 abitanti, in una delle cosiddette aree svantaggiate dell’Ungheria.
Cosa si intende con aree svantaggiate?
Sono delle zone del Paese piuttosto isolate e arretrate, che godono di finanziamenti e sussidi speciali che sostengono la loro crescita. I territori svantaggiati sono quelli del Transdanubio Meridionale, della Pianura Meridionale, dell’Ungheria Settentrionale e della Pianura Settentrionale, tutti caratterizzati da grandi terreni coltivati o incolti e da piccoli agglomerati residenziali, i caratteristici paesi della Puszta (steppaungherese) con abitazioni basse e povere.
Cosa c’era a Belecska, prima dell’intervento di cui stiamo per parlare?
Niente.
Neanche una scuola?
No. Solo case, qualche negozio ed alcune birrerie. Le persone erano in buona parte senza impiego e vivevano grazie al sussidio di disoccupazione.
Come nasce il programma di risanamento economico?
L’allora sindaco Róbert Jakab lanciò un programma a lungo termine, da portare avanti fino al 2012, per la creazione di posti di lavoro per tutti i disoccupati del paese. Per attuare un progetto tanto promettente, approfittò di una circostanza favorevole. Un suo amico si ritrovava a possedere una grande quantità di piantine di fragole che non riusciva a vendere. Grazie ad un bando per l’agricoltura appena vinto dall’amministrazione locale, il comune compra le piantine, le distribuisce e le fa coltivare dai nuovi contadini del luogo, che vengono iniziati al mestiere con una sorta di apposita formazione. Il programma si chiama “Sorsfordító – sorsformáló”, che significa “Cambiare vita – Formare la vita“.
Come andarono gli affari?
Dopo il primo anno, Belecska comincia a registrare i primi profitti, ma i benefici derivanti da questo esperimento si misurano soprattutto con altri tipi di effetti.
Che stipendio percepiscono i cittadini che hanno accettato il posto nel settore agricoltura nell’ambito del programma?
Lo stipendio minimo.
Quali cambiamenti si osservano ora che molte più persone ricevono un salario fisso? I consumi sono aumentati?
Sicuramente, anche se gli effetti più evidenti sono a livello comportamentale. Innanzitutto stanno sparendo l’alcoolismo e i casi di malattie mentali che affliggevano il paese ai tempi della disoccupazione ai massimi livelli. Inoltre i cittadini adesso sono in grado di coltivare e questo ha portato la tendenza ad auto-sostenersi grazie agli orti. Non solo, ma il lavoro ha reso gli ex-disoccupati più attivi ed ambiziosi. Il paese che prima si presentava piuttosto malandato adesso è pulito e restaurato.
Che tipo di persona era il sindaco, di recente venuto a mancare?
Jakab è stato per circa 30 anni il veterinario di questa zona. Conosceva bene il territorio e lo amava. Avrebbe promosso un prolungamento del programma dopo il termine stabilito per i sussidi statali alle regioni sottosviluppate, valido dal 2009 al 2012.
Purtroppo, due mesi fa è deceduto per un colpo apoplettico.
Qual’era il suo orientamento politico?
Si è candidato come indipendente e si è mantenuto tale.
Chi prenderà il suo posto?
Lo decideranno le elezioni, tra due mesi. I candidati sono 4, tutti del posto. Questo fa sperare che sappiano portare avanti il programma senza gettare al vento quanto fatto finora. E’ essenziale che le persone non tornino senza lavoro. La disoccupazione prolungata ha effetti devastanti sull’umore e sulla salute mentale e non è stato facile educare gli ex-disoccupati al lavoro.
La tua osservazione tradisce il tuo interesse per l’antropologia. Come mai ti sei interessato a questa storia?
Sono laureato in etnologia ed antropologia, ma lavoro per l’istituto di ricerca Pannon Elemző Iroda e ho ricevuto l’incarico dall’Accademia delle Scienze ungherese di svolgere una ricerca sulle economie locali in via di sviluppo. Spulciando le notizie degli ultimi anni mi sono reso conto del rilievo dato alla vicenda di Belecska dai media ungheresi e allo stesso tempo mi sono accorto che nessun media dava segno di conoscere davvero il programma lanciato nel paese.
La cooperativa degli albicocchi
Abbiamo scelto anche un secondo caso, quello di Kisvejke, un paese magiaro che fu visitato dagli statunitensi dopo il cambio di regime. La delegazione rimase colpita dagli 80 ettari di albicocchi presenti in questo luogo, quasi del tutto non sfruttati. Era il 1995 o il 1996 e venne lanciato un programma chiamato “American Programm” per dare una spinta allo sviluppo all’Ungheria uscente dal regime sovietico applicando modelli di stampo americano. I membri dei governi locali di Kisvejke e altri 5 paesi della zona furono riuniti intorno allo stesso tavolo per fare un lavoro di brain storming. Alla fine crearono una cooperativa di 10 membri. Oggi i partecipanti sono 80 e la cooperativa gestisce 400-500 ettari di frutteti, non solo albicocchi, ma anche meli, ciliegi e altre varietà. Il dettaglio interessante che voglio aggiungere per i vostri lettori è che ogni anno i membri della cooperativa fanno almeno un viaggio nel Nord Italia per tenersi aggiornate sulle tecniche di coltivazione impiegate in quelle regioni e riutilizzarle nei loro territori.
Il risultato è una produzione solo per il consumo locale o per un giro d’affari di più ampio respiro?
La frutta di queste zone viene esportata in Europa occidentale, soprattutto in Germania, nei paesi scandinavi e in Inghilterra. La disoccupazione è appena del 5% e sussiste quasi solo per via delle persone che preferiscono restare senza lavoro piuttosto che lavorare nei campi.