Se fosse ancora vivo, oggi Benito Corghi sarebbe un pensionato emiliano gioviale e rubicondo, passerebbe le giornate a guardare cantieri a Rubiera. Lo si troverebbe al bar a raccontare con gli occhi lucidi il tempo in cui c’era Enrico Berlinguer alla tv, il socialismo era in espansione come l’universo e in alcuni quartieri il partito comunista prendeva il 74%. Invece non è andata così e oggi a lui sono dedicati una succinta pagina Wikipedia, solo in inglese e tedesco, ed un’interrogazione al Senato che si trova ancora sul web. Perché? Chi era Corghi? Nonostante il grande polverone diplomatico dell’epoca, oggi la sua è una storia quasi dimenticata in Italia.
Ad una settimana dall’appoggio esterno del PCI al governo Andreotti III, il mattino del 5 agosto 1976, Benito Corghi sta tornando in Italia. Corghi è un’auto-trasportatore militante. Anche sua moglie è nel partito, alle chiavi del camion ondeggiano falce e martello. A prendere la carne di maiale a Cottbus, Corghi ci va per le Coop emiliane. Il PCI è riuscito a trovare accordi con la DDR, quella carne viaggia sull’ideologia. Meno di due mesi prima Corghi era probabilmente alla televisione a godersi la vittoria del socialismo reale: agli Europei la Cecoslovacchia aveva battuto la fortissima Germania Ovest di Sepp Maier. Forse, mentre si appresta a varcare la Cortina di Ferro tra Hirschberg e Rudolphstein, distante meno di 30 km in linea d’aria dal confine cecoslovacco, gli scappa davvero un sorriso pensando al rigore che ha fatto dello sconosciuto Antonin Panenka una leggenda del blocco sovietico e del calcio in generale. Sono le tre del mattino e tra pochi minuti Benito Corghi diventerà l’unico non tedesco tra le 260 persone che verranno uccise dalla polizia di frontiera della DDR.
Corghi ha da poco lasciato il confine della Germania Orientale e sta procedendo lentamente sul ponte che conduce al cancello dell’altra Germania, dell’altro mondo. Arrivato al posto di blocco, la polizia federale lo informa che mancano alcuni documenti, dei certificati veterinari, li avrà scordati alla frontiera precedente. Nel 1976, in piena Guerra Fredda, per queste inezie burocratiche possono farti delle storie, trattenerti ore per controlli. Gesticolando, Corghi chiede alle guardie se è possibile chiamare i colleghi che stanno dall’altra parte del ponte per avere il permesso di girare il camion e tornare indietro. Il telefono c’è, ma tra le due dogane vige l’ordine di ignorarsi a vicenda. Cosa può fare Corghi, allora? Parcheggia, scende dal mezzo e si dirige a piedi verso la dogana che ha appena lasciato. C’è nebbia, è notte fonda, vuole fare in fretta. Non l’hanno informato che è proibito camminare su quei 700 m di autostrada? Magari lo sa, è soltanto abituato a pensare che non possa succedere nulla ad un uomo che si avvicina disarmato ad un posto di blocco. Inizia a camminare.
Due guardie di frontiera riconoscono una sagoma nella nebbia. Di solito chi cammina su quel ponte lo fa in senso opposto, sta scappando verso il mondo libero, sta tradendo il sogno del socialismo reale. Gli vanno incontro. Gli urlano “Alt! Grenzstelle!”, gli intimano di fermarsi e farsi riconoscere. Ma Corghi non può capire, non sa il tedesco. Ha paura, si volta ed inizia a correre indietro, verso il suo camion. Qualcuno sta scappando? Un militare di vent’anni, diligente, fa quello che il VOPOS è abituato a fare in questi casi. Uwe Schmiedel estrae il fucile, mira alla schiena e spara. Benito Corghi, camionista comunista, muore sul colpo.
Per i comunisti italiani è una doccia fredda. Non tutti i morti sono uguali: Corghi era italiano, comunista, disarmato. Corghi non era un disertore dalla causa, era un compagno. Nel 1976 a Reggio Emilia il comunismo è ancora quella cosa allegra che si fa alle feste dell’Unità, dove ci sono il Lambrusco e la salamella e ogni tanto viene qualcuno da Roma a difendere il sostegno alla DC. Dopo Budapest ’56 e Praga ’68, la base del PCI perde definitivamente la verginità. Scopre per la prima volta che il socialismo non ha un volto umano, spara anche ai giusti. E la DDR non ha risposte pronte. Il silenzio questa volta non può bastare, Corghi non era tedesco. Reagisce in maniera impacciata: nega, copre, minimizza, accusa di complotto le autorità federali, poi ammette e si dichiara pronta a pagare l’università ai figli.
Benito Corghi sarà l’unica vittima per cui Berlino Est chiederà mai scusa. Tutte le altre se l’erano meritato. La frase che Silvana Corghi dirà all’ambasciatore, venuto al funerale a porgere le scuse ufficiali, racchiude nella sua naïveté tutto quello che milioni di comunisti delusi, di qua e di là dalla Cortina di Ferro, non smetteranno mai di pensare: “non si costruisce il socialismo ammazzando la gente”. Oggi che il socialismo non c’è più, la si uccide ancora la gente, quando prova ad attraversare i confini. Forse verrà un tempo in cui anche queste morti sembreranno assurde a tutti come quella di Benito Corghi.
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