Da BELGRADO – Lo scorso 29 ottobre, l’opinione pubblica serba è stata scossa dalla notizia di un attentato sventato dal primo ministro Aleksandar Vučić. Nelle vicinanze della casa dei suoi genitori, nella località di Jajinci poco fuori Belgrado, la polizia ha rinvenuto un mini arsenale di armi nascosto in un cespuglio lungo la strada. Tra queste, anche un bazooka e quattro bombe a mano, oltre svariate munizioni.
Qualche giorno più tardi, inoltre, la polizia ha rinvenuto in un garage di Novi Beograd un automobile il cui bagagliaio era pieno di armi, insieme ad alcuni documenti che collegherebbero i due episodi e che farebbero temere anche per l’incolumità del fratello del primo ministro Andrej Vučić.
Insomma, in un paese in cui nel 2003 il primo ministro venne assassinato a sangue freddo, ci sono tutti gli elementi per far salire lo stato d’allerta al massimo.
Secondo quanto riportato dal ministro dell’interno, Nebojša Stefanović, le indagini hanno attestato che nei giorni precedenti al rinvenimento delle armi almeno 97 persone si sarebbero trovate nelle vicinanze del luogo del ritrovamento. Inoltre, si tratterebbe di professionisti, nonché di persone con un profilo altamente preoccupante dal punto di vista della sicurezza, per via di diversi precedenti penali. Al momento, sono state interrogate 37 persone e le ricerche proseguono.
Le reazioni
Sebbene il primo ministro non abbia parlato di “tentato omicidio”, esprimendo però anche preoccupazione per l’incolumità di suo fratello, questi è stato trasferito momentaneamente insieme alla sua famiglia in una località sicura e segreta.
All’indomani dell’episodio, Vučić ha rassegnato le dimissioni da capo del Gabinetto per la Coordinazione delle Forze di Sicurezza.
Il ministro del lavoro, Aleksandar Vulin, è stato invece più allarmista, dichiarando che si tratta di un tentativo di uccidere il premier e che sarebbero coinvolti anche alcuni individui dell’ambasciata statunitense. Dichiarazioni pesanti, che il ministro ha dovuto precisare fossero a titolo personale e non rappresentassero l’opinione del governo.
L’opposizione, invece, dubita che si tratti di minacce concrete alludendo forse che si possa trattare di una messinscena. In particolare, come sottolineato dal professore di diritto Bogoljub Milosavljević, c’è stato un grande riscontro mediatico della faccenda, che è stata adeguatamente drammatizzata.
Considerato che il ritrovamento delle armi risale alle ore 16 e che alle ore 18 tutti i media riportavano la notizia, il professore fa notare che per casi simili esiste un protocollo specifico che devono seguire le autorità competenti. Quel che insospettisce è il perché l’opinione pubblica sia stata informata ancor prima che venisse effettuata un’indagine. Considerato il precedente dell’assassinio del primo ministro Zoran Đinđić, certe informazioni è meglio che vengono trattate con riservatezza.
Il motivo è che il sensazionalismo mediatico in Serbia è un’arma molto potente.
Mentre le indagini proseguono, ci si chiede se questo episodio non possa rientrare nella stessa categoria che include anche i fatti di Savamala, quando nella notte elettorale del 25 aprile alcuni uomini mascherati presero alcuni ostaggi e demolirono con delle ruspe alcuni edifici. Da allora, nonostante le massicce proteste di piazza, i fatti non vennero più chiariti.
Non si tratta di fattispecie simili e non è questa la sede per speculazioni circa il sistema di sicurezza delle alte cariche statali serbe, ma l’opinione pubblica ha il diritto di sapere in modo chiaro quanto è successo e di cosa si tratta realmente.