Albert Berisha e Liridon Kabashi, entrambi ex jihadisti, hanno fondato l’Istituto di Sicurezza e Integrazione per scoraggiare i candidati alla jihad e assistere i reduci nel loro processo di reintegrazione. Tre anni fa Berisha e Kabashi si trovavano in Medio Oriente al fianco delle formazioni che combattevano per lo Stato Islamico. Una volta tornati a casa sono stati arrestati dalla polizia kosovara. Alle autorità kosovare hanno dichiarato di aver combattuto per l’Esercito Siriano Libero, il Free Syrian Army, ma di essersi trovati a combattere in seguito nelle formazioni dello Stato Islamico.
L’Istituto ha come compito quello di dissuadere eventuali futuri jihadisti e di reintegrare quelli che sono tornati dal Medio Oriente. “Vogliamo dire loro che c’è una opzione: reinserimento e risocializzazione“, sostiene Berisha, 29 anni, in attesa dell’esito del suo ricorso contro una condanna a tre anni e sei mesi. “Il nostro primo progetto si chiama Foreign Fighters Talk“, continua. Grazie a questo progetto, “incoraggiamo i foreign fighter jihadisti a parlare delle loro esperienze al fine di comprendere le ragioni della loro disillusione e il loro ritorno in Kosovo. Vogliamo capire quanti di essi sono pronti per essere reintegrati nella società e quali sono le loro esigenze”.
In risposta alla pressione europea e statunitense a impegnarsi maggiormente per arginare il fenomeno, il Kosovo (ma anche l’Albania e la Macedonia) lo scorso anno ha approvato una rigorosa legge che condanna fino a 15 anni di carcere chiunque combatta in guerre straniere. “Il Kosovo ha fatto un ottimo lavoro per coinvolgere le comunità musulmane locali negli sforzi per informare i loro membri contro i pericoli della radicalizzazione”, ha detto Sarah Bedenbaugh, esperta di Balcani presso l’Atlantic Council, un think tank con sede a Washington.
A tal proposito, la NATO ha deciso di aprire uno dei suoi Centre of Excellence in Albania per occuparsi del fenomeno dei foreign fighter arruolati nelle organizzazioni terroristiche in Siria ed Iraq. Questi centri Nato sono strutture deputate a formare specialisti in materia di sicurezza dei paesi membri, aiutando a sviluppare le dottrine di difesa e migliorare la capacità di interazione fra gli alleati.
Il Kosovo, con 1,8 milioni di abitanti – 90% dei quali musulmani – ha 232 cittadini presenti in Siria e Iraq come foreign fighter jihadisti, secondo un rapporto del Kosovar Center of Security Studies. A Pristina il problema del radicalismo islamico è emerso nel 1999, nell’immediato dopoguerra. L’instabilità politica del Kosovo, paese le cui istituzioni sono ancora fragili e dove persiste un elevato tasso di corruzione, facilita il lavoro delle associazioni caritatevoli islamiche che, spesso, agiscono come cavallo di Troia del jihadismo. Organizzazioni che sono riuscite a inserirsi in questa cornice porosa e a reclutare giovani per la jihad in Siria e Iraq. I Balcani servono soltanto da possibile serbatoio per la guerra in Medio Oriente, non sono bersagli che interessano a questi gruppi.
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Immagine: The Telegraph