La decisione della FIFA di impedire a Inghilterra, Scozia e Galles di indossare il poppy durante le loro partite di qualificazione mondiale della prossima settimana ha avuto lo stesso effetto della prima pedina del domino che cadendo provoca la caduta a catena di tutte le altre. Le reazioni a questo provvedimento hanno dato l’impressione di essere dettate dall’esasperazione del proprio pensiero politico più che dal buonsenso.
Da sempre mettere il papavero rosso sul bavero della giacca è un modo di ricordare i soldati britannici caduti in battaglia, ed è pratica comune indossarlo in occasione dell’anniversario del giorno in cui fu firmato l’armistizio che pose fine alla prima guerra mondiale, l’11 novembre (Remembrance Day). È qualcosa di molto comune, sia durante la vita di tutti i giorni che durante rappresentazioni pubbliche.
Negli ultimi anni, tuttavia, la presenza o meno del poppy sugli abiti di chi appare in televisione o ha una risonanza pubblica di qualche tipo viene interpretata e strumentalizzata come un fattore inequivocabile di appartenenza politica. Usando un’estremizzazione semplificativa, chi non lo indossa è un nemico della patria senza memoria mentre chi lo espone in bella vista è un fascista guerrafondaio.
Rapidamente, per l’opinione pubblica inglese, occuparsi della presenza del poppy sulla maglia dei calciatori è diventato una tematica ricorrente nella prima metà di novembre. Esattamente un anno fa, infatti, la questione aveva raggiunto le prime pagine dei quotidiani quando James McClean aveva deciso e spiegato pubblicamente di non voler indossare il poppy in solidarietà con le vittime della Bloody Sunday irlandese, manifestanti pacifici colpiti a morte dallo stesso esercito britannico ricordato dal papavero rosso.
Eppure, in passato le cose erano andate in maniera piuttosto differente. La nazionale inglese aveva giocato proprio l’11 di novembre in un paio di occasioni nel passato recente; nel 2001 contro la Svezia e nel 1987 contro la Jugoslavia. Le squadre erano scese in campo senza indossare il poppy: in queste due occasioni nessuno aveva avanzato la richiesta e non si era scatenata nessun tipo di discussione, contrariamente a quanto avvenuto durante la scorsa settimana.
La FIFA, infatti, ha ritenuto il poppy un simbolo politico, al pari di uno stemma di partito, e come tale ne ha vietata l’apposizione sulle magliette. L’articolo 4 del regolamento di gioco impone infatti che l’equipaggiamento dei giocatori non contenga «dichiarazioni politiche, religiose o personali»: per lo stesso motivo la FIFA ha appena aperto un procedimento disciplinare contro la federcalcio irlandese, rea di aver inserito nelle maglie utilizzate in un’amichevole a marzo un ricamo dedicato al centenario dell’Easter Rising, la ribellione dell’aprile 1916, poi repressa dall’esercito britannico, in cui venne proclamata l’indipendenza della Repubblica d’Irlanda.
L’opinione pubblica inglese ha reagito in modo abbastanza scomposto alla decisione: persino Theresa May, il primo ministro, si è lasciata andare a uno sfogo in parlamento piuttosto duro in cui ha attaccato pesantemente la FIFA, suggerendo ai vertici della federazione di occuparsi delle faccende illecite al suo interno, più che perdere il proprio tempo imponendo alla federazione scozzese e quella inglese misure che ritengono irrilevanti.
Dopo lo sfogo del primo ministro inglese, si è arrivati a una soluzione in grado di soddisfare entrambe le visioni a riguardo. I calciatori saranno liberi di indossare di indossare una fascia nera al braccio, simile a quella per commemorare un lutto, con al centro un papavero rosso. Una soluzione cerchiobottista quanto basta da soddisfare entrambe le fazioni e da scontentarle entrambe allo stesso tempo.